Thursday, October 20, 2005


Stagiaire - part three

Melissa ed io cominciammo una specie di relazione. Il mio ruolo di tutor si era esurito con la fine del suo introduction program e le occasioni di vederci da soli si erano praticamente azzerate. Era stata risucchiata dai “ragiunatt” della contabilità, giù al primo piano. Melissa però non perdeva occasione di stuzzicarmi con e-mail e sms. Riuscimmo anche ad incontrarci per un paio di aperitivi, lei avendo l’accortezza di farsi trovare alla stazione della metropolitana di C****** G**** ed io quella di portarla in locali un po’ fuori dalle solite rotte. Melissa sembrava eccitata dall’idea della trasgressione, insita nella nostra nascente relazione clandestina. Era intrigata e resa adrenalinica da questo clima carbonaro di piccole bugie, di alibi da far confermare ad amiche compiacenti, di bugie raccontate al cellulare, in pargheggi appartati, con la camicetta sbottonata e il reggiseno sollevato, con i jeans sbottonati ed io che cercavo di intrufolare, con scarso successo, almeno con una mano nelle sue mutandine. Le nostre effusioni non si erano ancora spinte al di là di un petting appassionato. Una sera riuscimmo ad uscire a cena. Passai a prendere una Melissa infreddolita al parcheggio di C****** G**** ,come sempre. Era venerdì sera, ed era la sera – mi raccontò - istituzionalizzata per le uscite con i rispettivi gruppi di amici, così lei non aveva avuto da inventare troppe scuse con Luca che, probabilmente, si stava già alcoolizzando e stordendo a dovere “in qualche covo di neo-rivoluzionari bolscevichi”, relata refero.
Indossava il suo solito piumino nero lucido a salsicciotti ma aveva aggiunto al corredo un cappello tipo basco che le raccoglieva la gran massa dei capelli neri, lasciando sfuggire solo qualche ciocca, dandole un aspetto da etudiant francaise un po’ mignotta. Incredibilmente si era anche messa una gonnellina scozzese, piuttosto corta, a metà coscia, delle spesse pantacollant nere, un girocollo bianco e degli anfibi, tipo i Doctor Marteen’s che portavo io al liceo. Le sue gambette corte risultavano anche un po’ tozze. Questa ragazza decisamente non sapeva vestirsi. Decisi che avrei fatto qualcosa in proposito.
Percorrevamo la A4 ad una velocità un po’ sopra i limiti consentiti. La Volvo teneva sicura l’asfalto bagnato. Melissa era euforica e aveva già stampato le sue labbra tumide sulle mie e sulla mia guancia destra, lasciandomi una evidente traccia di rossetto scuro, tendente al marrone. Una nuova fragranza agrumata l’accompagnava. Mi sembrò di riconoscerla in CK-one.
- Meli...
- Ops.. e pensare che non mi trucco mai... l’ho fatto per te. Come mi trovi?
- Beh, sei molto carina...
- Non mi vesto mai così...
E meno male, pensai.
- La gonna intendo... non la metto mai... mi sta male?
- No, ti sta benissimo! Ti trovo molto sexi...
- Mmm, grazie, dove si va stasera?
- Mah, ho prenotato in un posticino carino, sul lago di E*****, poi se ti va facciamo un salto a L*****... c’e una specie di disco-pub abbastanza carino... cerchiamo di stare un po’ fuori porta, è meglio no?
- Certo. Che bello!
- Eh allora come ti va?
- Bene. Beh, con Santo meglio che con Carmen... è un po’ arpia...
- Non posso darti torto, ma qui lo dico e qui lo nego.
- Cero non mi diverto più come con te...
- Eh, beh... E per il resto?
- Bene. Luca non sospetta, mi sembra almeno...
- Meglio così, no?
- Si... Non so. Forse dovrei lasciarlo... non sono abituata a tenere il piede in due scarpe... no non sei uno scarpone, amore mio! Poi mi sembra di... non lo so, un po’ è anche eccitante questo pasticcio... però... un momento mi piaci tu e non esiste altro, poi rivedo lui e penso che è stato il mio primo vero fidanzato... la fatica che ho fatto per farmi notare, per interessarlo... e poi non voglio dare una soddisfazione a quegli stronzi snob dei suoi.
- Io non ho nessun diritto di essere geloso Meli... lo sai. Non ti chiedo niente. Mi piace stare con te, così. Prendiamo le cose come vengono, poi si vedrà, lascia perdere i programmi troppo a lungo termine... non funzionano mai bene.
- Si, hai ragione.
Le condizioni del traffico erano buone, nonostante la pioggerillina di Novembre che cadeva leggera. In meno di un ora raggiungemmo il Pampero, a R********. Riuscii a trovare un posto per l’auto poco distante dall’ingresso. Aprii l’ombrello e la portiera di Melissa. Le offrii il braccio.
- Madame...
- Oh merci!
Entrai per primo tenendo aperta la porta per Melissa. Fummo ricevuti da Celestino che ci salutò calorosamente, ci liberò dalle giacche, conducendoci al guardaroba e ci scortò ad una tavolo abbastanza appartato, vicino alla finestra che dava sul terrazzo. Il locale non era molto affollato, ma era ancora abbastanza presto. Melissa si guardava intorno deliziata.
- Cavolo Sandro... così mi vizi...
- Solo un po’...
Melissa rimosse il nastro di seta rosso che legava il suo tovagliolo di lino avorio, ruvido e gigante. Un attempato cameriere si accostò al tavolo, salutò e ci riempì un flutê di spumante Bellavista. Melissa fu subito attratta dal bel cesto in argento, appena messo in tavola, che conteneva una selezione di piccoli pani di diversi tipi, al sesamo, al papavero, alle patate, alle olive.
- Sandro, assaggia, sono ancora caldi...
- Piccola delicatezza della casa...
- Mmm, buonissimi.
Arrivarono anche i menù. Melissa mi chiese consiglio e la orientai sui piatti di pesce. Avevo desiderio di un bel vino bianco, pieno e fresco. Dopo un po’ di tira-molla, scegliemmo entrambi un antipasto a base di storione caldo con cipolle allo zenzero e salsa d’arancia ed un secondo piatto di gamberoni alla catalana per lei, mentre io mi orientai su pesce persico dorato al timo con agretto di capperi. Celestino tornò con la carta dei vini dalla quale pescai uno Chardonnay, che sapevo capace di tenere il passo con lo storione, col quale, invece, Celestino, sosteneva l’opzione di abbinare un bel Cerasuolo di Vittoria, sempre che volessi davvero un vino dei Planeta. Brevi dotte dissertazioni per addetti ai lavori, di fronte ad una Melissa attentissima.
- Ma sei una specie di somellier professionista!
- Beh, in gioventù ho frequentato un paio di corsi all’A.I.S.
- Non mi dispiacerebbe imparare qualcosa di più sul vino...
- Allora continua a frequentare me!
- Sandro, Sandro... che ne sarà di noi... di me...
- Meli, Meli, tu cerchi troppe risposte nel futuro... vivi di più il presente!
Assaggiai il vino. Poco dopo arrivarono gli storioni. Melissa era estasiata.
- Dai Meli proponi un brindisi...
- Oddio, io? Dai fanne uno tu...
- Mmm…, “a handful of skills is better than a bagful of gold”!
- Bello! Che cos’è?
- Irish toast.
- Cheers!
Il dolce vita bianco di Melissa lasciava intravedere i suoi capezzoli. Melissa aveva un seno piccolo, una seconda al massimo, con due capezzoli che sembravano davvero due lamponi maturi. Quella sera non portava il reggiseno. Avevo già deciso come si sarebbe conclusa questa serata. Il pene mi si inturgidì spingendo contro la stoffa dei chinos blue.
- E tu non fai un brindisi?
- Al mio tutor... ad un uomo estremamente affascinante... a te Sandro.
- Vuoi farmi arrossire?
- Baciami...
Mi alzai proteso oltre la distesa di bicchieri che ci divedevano. Nuovamente le sue labbra tumide sulle mie.
- Meli così mi ecciti...
- Meno male!
- Ma pensa un po’... che impudenza. E pensare che cominciavo a crederti un po’ suorina...
- Never judge the book by the cover… non me lo hai insegnato tu?
- Touchè.
- Beh, questa storia della suorina a volte ritorna...
- Scherzavo.
- No, non intedevo da parte tua...
- Da parte di chi allora?
- In generale... ho sempre avuto un po’ questo complesso, chiamalo così... un po’ sarà il mio aspetto, che non mi trucco, che non mi vesto sexi... che ho il fisico che vedi... certo, una giovane donna con il viso da bimba, che non è cresciuta oltre il metro e cinquantacinque...
- Mia mamma dice sempre che nelle botti piccole sta il vino più buono...
- Grazie. Però non è facile. Non sempre, cioè non con le persone poco intelligenti.
- Non sei obbligata ad averci a che fare.
- A volte si. Poi spero tu ti ricordi ancora come vanno le cose tra ragazzi, il gruppo, l’appartenenza, i modelli condivisi...
- Si. Convengo. Hai ragione.
- Insomma, non sono bella, Sandro.
- Ma dai!
- Dai un corno. Dai, non sono bella. Posso piacere, forse, se uno mi conosce, se fa uno sforzo. Non a tutti poi... non sono certo una che la gente si volta a guardare...
- Che c’entra... nemmeno io...
- Tu sei un uomo... è diverso, poi sei brillante, atletico. Ok non sarai Brad Pitt, ma cavolo, io sono lusingata di stare con te... cioè di accompagnarmi a te. Lo vedo quando entriamo nei posti... la gente ti osserva...
- Addirittura... sarà la pashmina azzurro pastello?
- Cretino, dai hai capito...
- Va beh, daccordo, grazie per il complimento.
- Comunque questa suorina nasconde anche delle storie di vita interessanti...
- Mmmm, mi stai stuzzicando la curiosità... qualche retroscena torbido? Qualche oscura perversione?
- Beh, una avventura a tinte fosche un po’ perversa l’ho vissuta davvero.
- Adesso mi racconti.
- Beh... forse non è il caso, a tavola...
- E no, scusa, lanci il sasso e ti nascondi?
- Mmm. Va bene. Basta che poi non mi giudichi male...
Celestino arrivò a liberarci dei piatti vuoti e a versarci altro vino nei calici ampi. Si informò che tutto stesse andando per il meglio e, rassicurato, si congedò.
- Beh Meli, non tenermi sulle spine... qual’è la storia?
- Una volta... un paio di anni fa... mi ero da poco aggregata al giro di amici di Luca... ma non stavamo ancora insieme. C’era questo ragazzo, Francesco che anche lui c’entrava poco con quel milieu... ma era uno che aveva sempre buoni argomenti per introdursi tra i figli di papà, solita roba bianca, pasticche e arsenale vario...
- ...
- No, non è una storia di droga... Sandro! Sono pulita come l’acqua di montagna... e spero non così banale...
- Lo so!
- E allora che facce fai?
- Io? Ma se sono una maschera!
- Va beh, questo... Chicco, mi pare lo chiamassimo, mi ha nasato subito... che non ero una del giro della M***** bene... e si è un po’ attaccato. No, non credo che gli interessassi in quel senso... mirava ad una certa Elisabetta... solo... mi vedeva un po’ più simile a lui, vicina ai suoi di problemi più che a quelli dei fighetti... va beh, per farla breve: un giorno mi fa: “Melissa, ti va di fare un bel po’ di pilla senza sbatterti troppo?”
- Pilla?
- Si riferiva a guadagni facili, fare un po’ di soldi senza troppi sbattimenti...
- Ah...
- No, sei fuori strada anche adesso... e guarda che potrei anche offendermi.
- Ma no, Meli, non ho detto niente...
- See...
- Vai avanti.
- Beh, anch’io all’inizio pensavo a qualche storia tipo corriere per la coca, vabbè che ne so... visto il tipo... metto le mani avanti. Mi dice no, no... è una roba un po’... senti, gli dico, vabbè che non navigo nell’oro, però non pensare che sia disposta a... insomma la puttana la fai fare a tua sorella, gli dico.
- ...
- Mi dice: ma sei scema Meli, una come te... no, neanche ci avevo lontanamente pensato... senti è una roba che a raccontarla è strana, però ti giuro, io l’ho già fatto un paio di volte ed è tranquillo. Basta che stai calma, fai quello che ti dicono, non ti agiti e ti becchi un milione pulito pulito per tre, quattro ore, senza sforzi. Ma che è ? - gli chiedo. Tipo cameriera, mi fa. Quattro ore per un milione non le prende nemmeno il maitrê del Savini, gli faccio io, a’ Chicco, ripigliati...
- In effetti...
- E qua stava il nocciolo della faccenda, Meli... mi fa lui. C’è da... c’è da servire... nudi però, con una maschera bianca o nera in case private... Meli, come te lo spiego...sono delle specie di orgie moderne, vedi gente nuda mascherata che si incula reciprocamente, uomini, donne, vecchi e fanciulle... a te non ti fanno niente, davvero, servi i piatti, i vini, nessuno ti tocca, giuro. Chicco ma sei scemo? – gli faccio. Meli, ne ho una venerdì, cercano qualcuno, io vado. Un milione per quattro ore, Meli... non devi fare nulla. Un po’ di vergogna che passa, al limite. Porti i piatti, nuda con la maschera... nessuno sa chi sei, nessuno ti chiede niente. Oh, io l’ho detto per te, perchè mi stai simpatica. Questi qua un milione se lo spendono in un week-end in vestiti, ristoranti, cazzate. Te sei come me, ho capito. Non è niente di sporco, ti giuro...
- Non mi dire che ci sei andata?
- ...
- Non ci credo... racconta Meli, è incredibile... da scriverci un articolo...
- Tanto fece e tanto disse che alla fine ci sono andata con Chicco. Me lo ricordo come fosse ieri. Mi passò a prendere a casa con il suo SI scassato. Avevamo un indirizzo in pieno centro, in via Giulini, una traversa di via Dante...
- Cazzo...
- Sul campanello c’era scritto Della Torre, ma mi sa tanto di prestanome. Parcheggiammo il motorino in un androne del cortile interno, sai quegli splendidi cortili della M***** segreta del Castellaneta, fontana e siepi all’italiana?
- Come no?
- Erano le sei e trenta. Fummo ricevuti in un enorme appartamento soppalcato, con diversi livelli e diversi ambienti che si aprivano su di un soggiorno di almeno settanta metri quadrati... ma la casa non aveva l’aria di essere abitata... non so come spiegarti... nessun oggetto, molto fredda... Il salone centrale ospitava una tavolata apparecchiata, su di un lungo fratino, con tovaglie di fiandra... e una specie di piccola pista da ballo... Nei vari soppalchi erano invece sistemati tavoli bassi e cuscini, tipo tenda beduina... candele e luci soffuse. Fummo ricevuti da un enorme pelato mascherato, nudo con un perizoma ad astuccio, che ci guidò prima in una specie di guardaroba, dove ci fece cambiare e indossare le maschere, io bianca e Chicco nera.
- Meli, è inquietante, hai una memoria fotografica impressionante.
- Non credo che riuscirò a dimenticare questa esperienza...
- Vai avanti.
- Il pelato ci fornì, per così dire, i costumi di scena. Io ebbi una crestina bianca, ed uno srtiminzito grambiulino che non mi copriva nè le tette ne la... beh, mi lasciava la passerina nuda... ci fece cambiare... lì davanti a lui... una vergogna che non ti dico.
- Perdio...
- Chicco ebbe solo uno sparato bianco con un papillon nero. Aveva un bell’arnese anche lui, anche a riposo...
- Meli!
- Che c’è Fai il finto moralista? Aspetta la fine per essere scioccato... Chicco continuava a tranquillizzarmi. Vai tranquilla Meli, stai serena, non dire niente e vai tranquilla. Il pelato ci spiegò le poche regole, bocca chiusa e servizio solerte, lui e la sua collega ci avrebbero indicato cosa e come servire in tavola. Ci mise in mano dieci biglietti da centomilalire ciascuno e ci disse che ci aspettava in cucina. Ma non eravamo soli. In cucina c’erano già altre sei persone, tre femmine e tre maschi, agghindati come noi e mascherati. Poi un paio di cuochi mascherati anche loro ma in tenuta da lavoro, con cappello e blusa regolamentare. Un somellier, vestito e mascherato, completava lo staff di cucina. Un breve saluto e il pelato con la sua socia, ci diedero le istruzioni. Il menù era abbastanza semplice, quasi tutti piatti freddi, già pronti sui tavoli. I vini erano superbi, almeno così mi parve... lo sai che non me ne intendo...
- Meli, sono senza fiato... è una storia allucinante...
- Ti giuro che è vero... ti pare che mi invento una cosa così...
- No, figurati, non intendevo questo...
- Ma non eravamo tutti qui. Si palesarono altre presenze all’interno della casa e questi avevano il piglio ed il look dei body-guard. Erano vestiti come gli agenti dell’ F.B.I. dei film, in completo grigio e auricolare. Ce n’erano almeno quattro.
- Cacchio...
- Una roba seria... Il briefing durò una mezz’ora, la sequenza dei piatti ci venne fatta ripetere due volte per uno e così quella dei vini. Non dovevamo dare nessuna confidenza agli ospiti, non dovevamo rivolgere loro la parola ed ubbidire solo agli ordini relativi cibi o vini. Non dovevamo temere nulla, i “men in black” erano lì per quello, così ragazze non abbiate paura che qualcuno abusi di voi e ragazzi, mi dispiace, non potrete buttarvi nella mischia. I bagni liberi per le vostre impellenze sono segnalati dalla targhetta “staff only”. Tutto chiaro? Gli ospiti arriveranno tra mezz’ora, cominciamo con gli aperitivi.
- Cribbio. Cosa è successo poi?
- Gli ospiti cominciarono ad arrivare davvero, ben vestiti, chi più elegante, chi meno. Comunque sembrava tutta bella gente. Le età più diverse, tutti mascherati, le donne in bianco, gli uomini in nero.
- ...
- La musica cominciò a riempire le sale, io e gli altri cominciammo a portare vassoi colmi di calici di champagne e cocktails assortiti. Io mi vergognavo come un verme a girare nuda in mezzo alla gente vestita, fortunatamente, viste le maschere indossate da tutti, non mi sentivo proprio gli sguardi addosso. Però sentivo quegli occhi frugarmi i seni, il sedere... davanti... L’atmosfera cominciava a riscaldarsi, arrivava ancora qualcuno, alla spicciolata... passò circa una mezz’ora, poi, il pelato suonò un grosso gong e invitò gli ospiti a “cambiarsi” e prendere posto a tavola, dato che la cena sarebbe stata servita in pochi minuti. Ci fu un andirivieni dai guardaroba, dai bagni, le persone entravano vestite ed uscivano completamente nude, prendendo poi il posto loro assegnato da un cartellino, a tavola.
- Nudi?
- Completamente, ma senza evidenti imbarazzi. Anch’io a quel punto ero più tranquilla... nel senso che la mia nudità non era più l’unica fonte di curiosità. La gente conversava amabilmente, con toni più o meno accesi, ci saranno state una trentina di persone, ad occhio e croce. Sembravano non nuovi a questo tipo di assemblee. Dai frammenti dei discorsi che riuscii a cogliere mi parevano tutti liberi professionisti, commercianti, ma molti non si conoscevano tra loro.
- ...
- Portammo altro vino in tavola e degli spiedini di frutta, uva, ananas, pezzi di mango, papaya, ed altro infilati su quei lunghi stecchi che si usano per il barbeque... la gente cominciava a mangiare, alcuni si imboccavano a vicenda. Il clima si stava surriscaldando... la musica si alzò di un paio di toni, qualcosa tipo una disco francese anni ’80. Un gruppo di donne si alzò per raggiungere la pista da ballo, un paio di ragazze ma almeno tre over-50... non ti dico che spettacolo...
- Immagino...
- Non credo. Portiamo le ostriche su di un letto di ghiaccio, in tre enormi piatti, che trasportiamo in coppie. Chicco mi chiede come va... bene mi pare... sono un po’ imbarazzata più da lui adesso, è l’unico che mi conosce, ma sembra che questo aspetto di me non gli interessi... Stai andando alla grande Melissa, vai tranquilla e stai vicino a me più che puoi, no problem... Il pelato ci coordina, ritiriamo i piatti sporchi, le posate... oramai è già tutto un baillamme... la gente si alza e si siede... vedo un uomo prendere un pezzo di ghiaccio e ripassare il contorno delle areole dei capezzoli alla donna seduta di fianco a lui... sulla pista da ballo un ragazzo sta penetrando da dietro una signora, che poteva sembrare mia madre, che si appoggia ad una colonna... la musica è diventata tipo una house e le luci psichedeliche nascondono e svelano, ad intermittenze ravvicinate, il principio di una vera e propria orgia.
- Cazzo Meli, che storia... e tu?
- Niente... vado e vengo con bicchieri pieni e vuoti, cercando di mimetizzarmi il più possibile... ho l’immagine di questo anziano signore... tutto canuto, anche i peli del petto e il pube... che si sporge verso di me per afferrare un calice di vino, sorridendo, mentre una ragazza ha la testa tra le sue cosce... e il suo affare tra le labbra... era disgustoso... sembrava un nonno porno...
- Ma anche un po’ eccitante...
- Non mi eccitano molto queste situazioni, anzi, più che altro mi sembra una roba da depravati...
Però ci era finita dritta in mezzo, la insospettabile Melissa. C’era speranza anche per la realizzazione della mia piccola perversione. Arrivarono i gamberoni di Melissa e il mio pesce persico che avevano entrambi un aspetto delizioso. Il cameriere riempì nuovamente i nostri bicchieri e ci augurò un buon proseguimento.
- Poi che succede?
- Portiamo altro cibo, un riso nero freddo con piselli, gamberi e pancetta affumicata... in cucina riesco a mangiarne un piattino anch’io, pur dovendomi sorbire i complimenti rozzi di uno dei cuochi.
- E...
- La gente ha cominciato a separarsi in gruppetti... qualcuno si era già trasferito a livello dei diversi soppalchi, portandosi cibo e beveraggi, così il nostro compito diventa più difficile. Il pelato ci divide per zone, raccogliere, pulire e sostituire. Vado. Raggiungo il soppalco a me assegnato. La scena che ho di fronte è una donna di mezza età, carponi, con la maschera di traverso sul viso, penetrata da un uomo da tergo e la bocca piena del pene di un’altro. Mi faccio strada tra i cuscini sparsi e gli ansiti, portando ancora bicchieri di vino pieni e cercando di ritirare piatti vuoti. Uno dei due uomini estrae il membro teso dalla bocca della donna e mi si avvicina per prelevare un calice dal mio vassoio. Grazie. Ne vuoi un po’ anche tu, piccolina? – mi fa. Mi allontano velocemente.
- Cristo...
- Già... di sotto, sul tavolo centrale adesso c’è sdraiata una ragazza. E’ coperta di cibo, frutta, riso... ha intorno tre o quattro persone che... mangiano su di lei... letteralmente... mentre un’altra donna le lecca la... beh, hai capito...
- Una roba tipo “Tokyio Decadence”, davvero...
- Non so cos’è, ma di decadenza ce n’era molta...
- Com’è finita?
- Per me è finita verso le 22:30. I tavoli erano stati tutti sparecchiati, rimanevano solo vini ed alcoolici ed un paio di piramidi di bicchieri puliti... a quel punto si sarebbero serviti da soli... o aiutati dal somellier... la festa, se così la vogliamo chiamare, era al culmine, una decina di persone che ballavano, srusciandosi, il resto sparpagliato qua e là per l’appartamento intenti ad accoppiarsi in modi diversi, a bere o a tirare polverina.
- Pure...
- Si, si... beh, il pelato ci raduna in cucina... per me avete finito ragazzi, complimenti, chi vuole rimanere ancora si becca un centone in più... tanto oramai c’è solo da ritirare i bicchieri sporchi e raccogliere quelli che cadono... si di bicchieri ne avevano già sfasciati almeno cinquanta... cerco Chicco con lo sguardo... prego che anche lui ne abbia avuto abbastanza... beh, ce ne andiamo come siamo venuti.
- Cristo che esperienza...
- Si un po’ scioccante. Poi uno si chiede perchè diventi cinico...
- Un interessante spaccato di un certo tipo di mondo...
- Ne avrei fatto volentieri a meno... però non lo avresti detto, conoscendomi più superficialmente, che potevo aver vissuto una cosa così, vero? Ti ho scioccato? Mi giudichi male?
- Io per principio non giudico mai nessuno. Per scioccarmi ci vuole altro, senza essere il novello De Sade, però qualche esperienza un po’... sulla falsa riga l’ho avuta anch’io. E non mi è dispiaciuto. Per il resto no, non l’avrei detto... anche se avevo intuito che sotto la patina di ragazzina un po’ ingenuotta che coltivi abilmente, si nasconde qualcosa di diverso...
- Sai, ho imparato che quando la gente pensa che tu sia un po’ stupidotto, un po’ ingenuo... si lascia andare di più e abbassa le difese... così a volte vieni a conoscenza di cose che ad altri non verrebbero mai svelate.
- Non l’avevo mai vista sotto questo aspetto... devo stare più attento...
- Ma vah... I gamberi sono eccellenti, ne vuoi assaggiare uno?
- Se prendi un pezzettino di persico...
- Vai, scambio... mi baci?
Mi sollevai ancora sopra la tavola per baciarla. Un bacio dolce, con le lingue che si intrecciarono. Melissa aveva una veramente bocca da sogno. Non capita frequentemente di incontrare una bocca che bacia come la tua, che si incastra alla perfezione sulla tua. Una bocca che asseconda la tua rotazione della lingua, che alla perfezione risponde alle sollecitazioni. Da un bacio si capiscono molte cose. Fantasticavo riguardo al piacere che ne avrebbe potuto trarre il mio arnese.
- Ho sempre odiato i tavoli rotondi... non possiamo sederci vicini.
- Almeno ci guardiamo negli occhi...
- Ma ogni volta che voglio baciarti devo fare il giro!
- Secondo me lo fanno apposta, per limitare le effusioni.
- Canaglie!
Il dolce fu un cestino di frutta calda con gelato alla panna per Melissa ed una cremê brulê con sbrisolona per me. Suggerii a Melissa di accompagnarlo con un Verduzzo friulano passito del magico Ronchi di Manzano. Si lasciò consigliare. Io scelsi un calvados. Melissa ebbe desiderio di un caffè d’orzo macchiato in tazza grande. Celestino sorrise paziente e insieme all’orzo le portò anche della piccola pasticceria che la deliziò ulteriormente.
to be continued...

Wednesday, October 19, 2005


These mist covered mountains
Are a home now for me
But my home is in the lowlands
And always will be
Some day you’ll return to
Your valleys and your farms
And you’ll no longer burn
To be brothers in arms

Through these fields of destruction
Baptisms of fire
I’ve watched all your suffering
As the battles raged higher
And though they did hurt me so bad
In the fear and alarm
You did not desert me
My brothers in arms

There’s so many different worlds
So many different suns
And we have just one world
But we live in different ones
Now the sun’s gone to hell
And the moon’s riding high
Let me bid you farewell
Every man has to die
But it’s written in the starlight
And every line on your palm
We’re fools to make war
On our brothers in arms

dire straits ©

Tuesday, October 18, 2005

Stagiaire - part two


Anche il meeting del pomeriggio volgeva alla conclusione. Melissa si era mostrata molto interessata ai sistemi di raccolta, condizionamento e stoccaggio dei prodotti e aveva raccolto una messe di complimenti da gentiluomini di campagna da parte dei rappresentanti commerciali e dal presidente del consorzio. Rispondeva a tutti con un sorriso e manteneva un elegante low profile.
Anche a tavola l’avevo osservata, trovandola aggraziata ed educata, sebbene non mi fossero sfuggite le sue incertezze nel scegliere la giusta posata con cui approciare le varie pietanze. La tolsi anche dall’imbarazzo nell’identificare il bicchiere dell’acqua nella selva di quelli che aveva davanti, versandogliela io stesso direttamente, visto che il presidente le versava solo vino rosso uva d’oro, che Melissa appena centellinava. Anche queste piccole incertezze contribuivano a renderla più intrigante e desiderabile agli occhi del selvaggio, per lo più abituato ad avere a che fare con over 30 parecchio sgamate in tutto.
Il viaggio di ritorno si rivelò più interessante. I discorsi si spostarono decisamente su argomenti più personali. Applicando una delle regole base dell’auditing, parlavo il 20% del tempo, lasciando a lei da riempire il restante 80%, stimolandola con domande precise, ma mai troppo chiuse. Viveva in un quartiere popolare di M*****, padre magazziniere in una piccola azienda di materiale elettrico, madre casalinga, un fratello impiegato alla Bo-Frost che guidava il furgoncino dei surgelati su e giù per la zona sud di M*****. Una famiglia modesta. Molto diligente, aveva un curriculum scolastico brillante e, tutto sommato, pochi grilli per la testa. Un gruppo di amici stabile da tanti anni ed una simpatica nonnina sprint. Anche in funzione di ciò, godeva di una certa libertà di movimento in casa, orari abbastanza flessibili, scarso controllo e poche pressioni da parte dei genitori. Non aveva quindi un desiderio eccessivo di indipendenza, nè aveva preso ancora in seria considerazione la possibilità di vivere per conto suo, indipendentemente dall’attale impossibilità finanziaria. Stava bene a casa, anche se diceva di patire un gap generazionale profondo nel dialogo con i suoi genitori. Sosteneva di essere nata un po’ per caso, a otto anni di distanza da suo fratello e considerava i suoi genitori un po’ matusa. Aveva un fidanzato ma notai maliziosamente che, nel parlarne, non perse occasione per sminuirne l’importanza e attaccarlo con qualche critica anche un po’ acida. Principalmente gli rimproverava di essere un immaturo, il classico adolescente nè carne nè pesce, nonostante i suoi quasi 24 anni, che si perdeva via in cretinate (mi sembrò di capire principalmente birre e droghe leggere) e che perdeva tempo e soldi a Scienze Politiche, dandosi un po’ arie da figlio del proletariato con un padre avvocato socio anziano nello Studio Rossotto, una madre endocrinologa al S. Raffaele, la casa in via Quadronno e la domestica di Capo Verde. Luca, così lo chiamava, non sempre le dava l’importanza che lei pensava di meritare ma, d’altro canto, era geloso in una maniera ossessiva, tormentandola di continuo con telefonate, scenate davanti agli amici e cose di questo tipo. Avevo infatti notato, durante la giornata, il modo nervoso in cui guardava il telefono e si appartava in concitate veloci conversazioni. Melissa disse di averlo lasciato una volta ma quando poi fu lui a dirle basta pianse per una settimana . Insomma, la classificai come una classica storia post-adolescenziale, con alti e bassi, tira-molla, felicità assolute e tristezze profonde. Mi sembrò abbastanza chiaro che il fidanzato di Melissa non andava considerato un ostacolo degno di questo nome in grado di determinare il fallimento del piano che cominciava a delinearsi nella parte oscura nel mio cervello. Lasciai Melissa qualche minuto prima delle 21:30, davanti all’ufficio ed attesi che avesse messo in moto l’auto, prima di avviarmi verso casa a mia volta.
Trascorsero alcuni giorni prima di rivedere Melissa a tu per tu. Lei intanto procedeva nella sua esplorazione dei vari dipartimenti dell’azienda. In Logistic & Transports, l’ufficio di fianco a noi, Beppe & Co. sembravano divertirsi molto con Melissa, almeno a giudicare dalle grasse risate che arrivavano a ondate dal corridoio. Ma del resto, insieme al magazzino, loro erano i tipi più “pane e salame” di tutti. Nel frattempo però avevamo cominciato a scambiarci mail spiritose, forwardandoci a vicenda attachment più o meno cretini, barzellette, .avi, .ppt, etc. Avevo scoperto inoltre diverse cose di Melissa, tipo che le piaceva andare al cinema, che il suo colore preferito era il verde, che adorava il risotto con i funghi. Insomma, per dirla con il buon Alain, stavo “pasturando”
Alla fine Maurizio approvò il viaggio di Melissa in Olanda, devo ammettere, anche in conseguenza di qualche mio distaccato e apparentemente casuale commento, e così, il Martedì successivo, nell’ultima settimana di Ottobre, ci trovammo, nuovamente all’alba, all’aereoporto di L*****, per imbarcarci su di un volo KLM diretto a Schiphol-Amsterdam.
- Vederci all’alba sembra essere diventato un leit-motiv nella nostra relazione, Melissa. Buongiorno.
- Ciao Sandro! Davvero! Scusami ma io all’alba non sono mai proprio al massimo. Di solito il meglio di me lo dò nel pomeriggio-sera.
- Beh, avremo modo di sperimentarlo... ma sai, c’e una teoria su queste cose che divide un po’ le persone in “benzina” e “diesel”. Io, per esempio, sono un “benzina”, presto in piedi presto a letto. Mio nonno diceva che ciò rendeva un uomo sano, ricco e saggio. Sano sì, per il resto ci stiamo attrezzando... però lui se ne è andato a 89 anni, non male, tutto sommato. Ti va un caffè?
Il caffè di Melissa diventò un cappuccino “con tanto cacao” e una brioches vuota con una spremuta di arancia; il mio rimase un caffè nero ristretto. Quella mattina Melissa indossava un paio di jeans chiari a vita bassa, una maglina grigia con stampato il logo MaxMara che a mala pena le copriva l’ombelico e delle sneakers simil Prada. Portava un piumino nero a salsicciotti lucidi, tipo i vecchi Moncler, che non le donava per nulla, rendendola ancora più tozza nella figura. Intravedevo, piano piano, cosa poteva essere migliorato in questa giovane donna. Cominciavo ad entrare nel loop del Pigmalione. Abbastanza pericoloso. Ma mooolto intrigante. Un cabin trolley viola anonimo completava il suo corredo da viaggio.
Il volo fu breve e abbastanza confortevole. Melissa non era molto abituata a viaggiare in aereo e manifestava poca confidenza con le varie routines. Era abbastanza eccitata dall’esperienza del suo primo vero business travel. Mi raccontò che gli unici voli che aveva preso erano stati in occasione di una vacanza studio in Inghilterra e di una vacanza in Grecia. Seduti in business, con pochi altri passeggeri, chiaccherammo di tante cose, principalmente viaggi e turismo, mezzi di trasporto e vacanze. Ci sfiorammo inavvertitamente le dita in un paio di occasioni, io nel prendere un giornale, lei nel riportare il tavolino nella posizione originale. La cosa fece incontrare i nostri sguardi un po’ stupiti, stemperando poi il piacevole imbarazzo con un sorriso. Infine Melissa, durante l’atterraggio, mi strinse decisamente la mano, che tenevo appoggiata sul bracciolo della poltrona. Il gesto insieme infantile e disarmante mi colpì.
L’aereo ci scaricò sani e salvi alle 08:45. Sciphol era il solito bailamme. Recuperammo un po’ a fatica la nostra auto nell’intricatissimo parcheggio della Hertz e mi misi alla guida in direzione Rotterdam. Melissa era visibilmente eccitata dal nuovo paesaggio urbano e dai prati verdissimi e piatti che scorrevano fuori dai finestrini. Mucche frisone a chiazze bianche e nere e gli immancabili mulini a vento, punteggiavano le campagne, appena lasciate alle nostre spalle le periferie di Amsterdam. Melissa sottolineava ogni dettaglio, ai suoi occhi rilevante, con dei “guarda!”, “va che bello!” e cose di questo tipo. Il telefono di Melissa era un trillo continuo.
- Meli, ma non rispondi?
- E’ ancora Luca. Ma gli ho già mandato un messaggio, gli ho detto che lo avrei chiamato questa sera! Che pacco!
- Va beh, dai, rispondi, magari si è preoccupato...
- Quello di sicuro. Quando gli ho detto che sarei venuta in viaggio con te... in Olanda, poi... guarda delle sceneggiate...
- Addirittura?!
- Beh, un po’ è anche colpa mia... gli ho parlato così bene di te... poi quando ha visto la tua foto...
- La mia foto? Da quando hai una mia foto?
- Ma no, l’ho scaricata dal sito intranet aziendale... cosa vai a pensare?!
- Oddio! Ma quella foto è una roba orripilante. Ho detto tante volte a Giuditta di cambiarla...
- Non è vero, dai sei venuto bene.
Le mie cellule grigie, come avrebbe detto il buon Hercule, sfrigolavano. Quindi: la ragazza parlava male del suo fidanzato con me e bene di me con il suo fidanzato. Inoltre aveva scaricato la mia foto da intranet per mostrarla agli amici. La pastura stava facendo effetto, il pesce cominciava a mangiare e a farsi vedere.
- Ma, insomma. Sembro tutto imbastito.
- Va beh, a Luca non ha fatto molto piacere che fossi tu a venire in viaggio con me.
- Ma cosa hai raccontato a questo povero cristiano?
- Ma no! Cosa pensi? Parlavo dello stage in generale, gli ho detto che mi trovavo bene e che alla fine più che della contabilità mi sono appassionata alla qualità e agli acquisti, cose così... gli ho parlato dei miei colleghi, in generale... ma poi quando gli ho detto che andavo in viaggio di lavoro... con te, beh, si è risentito.
- Guarda il lato positivo Meli, una donna deve sempre tenere un uomo un po’ sulla corda... e viceversa. Altrimenti viene meno l’interesse, tendiamo a dare tutto per scontato e ci si addormenta un po’ nelle routines, in un tran-tran molto poco eccitante. Mi sembra che queste sue reazioni ti diano la misura del fatto che tiene a te.
- Io credo che sia solo geloso. E’ geloso che la sua fidanzata di cinque anni più giovane abbia già un lavoro, anche se solo uno stage...
- Beh, vediamo alla fine... può diventare qualcosa di più, credo.
- Beh, grazie... No Sandro, Luca è geloso di questo, che io già mi muova in un mondo così diverso dal suo, che abbia già contatti così diversi dai suoi... lui che ancora sta in università da cinque anni e che ha fatto si e no cinque esami. Va beh, se lo può permettere, ok, figlio unico di genitori stra-benestanti. Però si sente inferiore. Quando parlo di aziende, di contratti, di lavoro mi ridicolizza, butta tutto in burla. Ma credo che si senta inferiore, ancora con i suoi traffichini in Conchetta e le birre o i bottiglioni di barbera scolati con i suoi amici finto-rivoluzionari tutto il giorno. Fosse almeno un narco-trafficante con le palle! Tanto poi finirà che quando suo padre si sarà davvero rotto le palle, gli comprerà una laurea da qualche parte, magari un MBA in qualche finta università americana e lo parcheggierà da qualche amico o conoscente. Come hanno già fatto vari amici suoi. Sai come vanno queste cose. Io non me lo posso permettere, glielo ho detto diverse volte...
- Madonna mia, Meli! Hai un astio profondo nei confronti del tuo fidanzato...o sbaglio? Da quanto tempo state insieme? E soprattutto perchè, a questo punto?
- No, non è astio... sono le solite cose che mi fanno arrabbiare di lui. Per il resto è un ragazzo d’oro. Sono un paio di anni che siamo... fidanzati.
- Ma se patisce queste cose perchè allora non fa qualcosa in proposito? Perchè non vuole cambiare un po’ la sua condizione?
- Secondo me perchè in fondo ci sta bene, è come stare in un limbo adolescenziale, nessun problema vero, nessuna vera responsabilità.
- E, scusa se mi permetto, ma sei innamorata di un uomo così?
- Beh, si, lo sono stata di più forse... ultimamente... boh... poi anche questa morbosa gelosia... è geloso, anche anche di voi adesso... di te in particolare...
- Ancora con questa storia!? Ma perchè? Dai Meli, sono un ventottenne precocemente invecchiato dallo stress che ha nove anni – nove – più di te... cosa teme? Ma cosa gli hai raccontato?
- Va beh, Sandro, dai. Sei un bell’uomo, brillante, mi sarà scappato un commento in più con gli amici, poi forse con la storia della foto ho esagerato un po’, lo riconosco. Ma qui la colpa è stata di Claudia, la solita fanfarona. Comunque hai fatto colpo, se vuoi te la presento.
- See, figurati! Comunque grazie per il “bell’uomo”.
- Beh, nel caso... come si chiama la tua di fidanzata?
- Letizia. Oddio, fidanzata...
- Ecco, nel caso con Letizia non funzionasse hai una spalla su cui piangere... oh, scusa, non volevo fare il gufo...oddio, mi sono un po’ ingarbugliata...
- No problem, Meli, dai, ho capito che voleva essere un complimento.
Nelle nostre recenti conversazioni, avevo glissato diverse volte riguardo la mia relazione con Letizia anche perchè io stesso non sapevo bene come incasellarla. Avevo però detto a Melissa di avere una compagna con la quale continuavo una relazione un po’ altalenante. E’ un po’ una tecnica, lo ammetto, così non dai l’impressione di un lupo affamato in caccia ma ti lasci aperto lo spiraglio per eventuali defaillances, con la scusa dell’altalenante. Cominciavo però a vedere Melissa sotto un altra luce. La patina da ragazzina ingenua nascondeva probabilmente una lucidità e maturità non comuni per quell’età.
Superammo il ring di Rotterdam e piegai verso nord ovest in direzione di Naaldwijk, dove avevamo due camere prenotate al solito Highland Carlton Hotel. Il paesaggio intorno a noi cominciava ad essere caratterizzato dalle terre veramente basse e dalle centinaia di serre che si susseguivano ininterrottamente lungo la strada.
Arrivammo all’hotel poco dopo mezzogiorno, così proposi a Melissa di darci una rinfrescata, sistemare i bagagli e mettere qualcosa sotto i denti. Avevamo appuntamento con André Waasdorp e Jan Dortmans a Maasland, solo per le 14:00, così restava un po’ di tempo.
Ho una foto di Melissa che sbocconcella un bratwurst accompagnato, incredibilmente, da una birra piccola, appoggiata con nonchalance al tavolo rotondo dell’area ristoro di una stazione di servizio BP. Le facevo compagnia con un French hot-dog ed una birra media. Con i capelli un po’ scarmigliati, le guance rosse e la borsa del DELL Latitude a tracolla sembrava davvero una studentessa. Carina, per giunta. Il clima tra noi stava prendendo una piega un po’ da gita scolastica, ma in fondo non mi importava molto. Non mi sentivo più molto in dovere di mantenere il ruolo del giovane manager impeccabile.
- E allora, dove mi porti stasera?
- Melissa!
- Dai, sto scherzando. Però un giretto potremmo anche farlo.
- Guarda questi posti sono veramente desolati, qui sono tutti contadini, ma nel vero senso della parola. Cena alle 18:30 e poi a nanna. A parte che diventa buio presto, te ne accorgerai. O ci si mette in macchina un ora e passa e proviamo a trovare qualcosa da fare a Rotterdam, oppure kaine. Io stasera soprassiederei, però se vuoi la macchina te la presto. Basta che la riporti, che domani sarà una giornata piena.
- Ma va! Da sola non vado da nessuna parte, dai scherzavo! Va bene la cena con le galline e poi a nanna.
- Senti vediamo poi, vedrai che qualcosa ti organizzo.
Raggiungemmo Maasland in meno di mezz’ora e fummo accolti dai fornitori olandesi con la loro tipica ospitalità nordica: tazzone di caffè brodoso e vigorose strette di mano. Presentai Melissa che se la cavava decisamente bene, sia con l’inglese che con il tedesco, cosa che rese molto felice il vecchio Kees Oosterman, patron della Growers’ Association, che con l’inglese non era mai andato a nozze. Il meeting filò abbastanza liscio, era del resto, più che altro un follow-up, il formale hand-shaking per suggellare precedenti accordi di fornitura di pomodoro grappolo per la campagna invernale. Ci sorbimmo un paio di slide-shows, fortunatamente brevi, firmai i contratti e, dopo l’immancabile giro per mostrarci le nuove serre, i nuovi magazzini a temperatura controllata, l’ampliamento delle celle frigorifere, per le 17:30 ci ritrovammo in macchina sulla strada del ritorno. Melissa era entusiasta. Le colture idroponiche l’avevano veramente impressionata.
- Accidenti Sandro, fantastico, veramente, non ho mai visto niente di simile. Ma quante volte all’anno ti capita di venire da queste parti?
- Mah... da quando sono in azienda, dunque da un paio di anni... di solito si fanno due viaggi per campagna, quattro volte all’anno, circa.
- Bello! Mi piacerebbe lavorare con gli olandesi...
- Perchè no? Beh, effettivamente la contabilità è un po’ sterile come campo, certo le vendite e gli acquisti sono un po’ più eccitanti. Ma allora aspetta di vedere i pomodorai delle Canarie, poi mi dici! Altro che gli olandesi!
- Sei stato anche la?
- Beh, prima di venire in A******* ero in E********. Lì mi capitava più spesso di avere queste destinazioni, si faceva più sperimentazione con le provenienze. E allora si girava di più in... esplorazione, per così dire. Mi ricordo un esperimento con le banane dalle Azzorre, quando cercavamo di ridurre la presenza di fitofarmaci ed insetticidi per la linea bio... ci abbiamo passato settimane io il buon Sikovich. Bei tempi, in bermuda nelle piantagioni.
- Sikovich?
- Un mio collega, con il papà croato...
- Cavolo... bello... ma Sandro tu da quanto tempo lavori?
- Beh, fatti due conti... ho finito l’università nel 1996 ma già lavoravo da due anni. Nel luglio mi sono laureato in settembre sono entrato in E********. Da lì è cominciato un po’ tutto. Il lavoro stressante, intendo.
- Wow. Tu mi sa che hai un sacco di cose da raccontare...
- Oddio, beh, qualcuna... Credo che l’importante sia riempire gli anni che passano con qualcosa di significativo... fare esperienze, imparare delle cose, vedere il più possibile... almeno questo è importante per me.
Melissa mi stava osservando decisamente affascinata. No, davvero. La pastura aveva svolto il suo compito. Adesso bisognava buttare l’amo, scegliendo quello giusto, e stare attenti a ferrare al momento giusto, non troppo presto, non troppo tardi. Ne scelsi uno medio-piccolo e lo lanciai.
- Meli, per stasera proporrei una cosa così. Visto che siamo in piedi dalle 05:00 cenerei in hotel verso le 19:00, che per gli standard locali è già tardi. Poi, sinceramente, me ne andrei a nanna. Magari a fare un giretto “movida” andiamo domani. Che ne dici?
- Si, certo, guarda che scherzavo... sono anch’io un po’ cotta...
- Allora ti invito ufficialmente a cena.
- Uh... come sono emozionata!
- Spiritosona! Beh, alla fine è la prima volta che ceniamo insieme, tutti soli... tu ed io. Diamo davvero al moroso qualcosa di cui essere geloso!
- Ahaaa... senti piuttosto com’è il rancio da queste parti? Il bratwurst non era male, però...
- Non aspettarti grandi cose, però il Carlton ha un ristorante decisamente più che discreto, sempre secondo gli standard locali.
Parcheggiai la Passat Variant poco distante dall’ingresso dell’hotel. Recuperammo le borse dei computer dal baule e ci accordammo per trovarci al Pavlos Bar verso le 18:45.
Stavo finendo il mio consueto gin tonic al bancone del bar quando Melissa fece il suo ingresso nella hall. Aveva sostitito la maglina grigia con una camicetta bianca in cotone pesante sulla quale indossava una specie di gilet di lana a trecce verde scuro. E, con mia grande meraviglia, si era anche truccata un po’, dando rilievo alle sue labbra morbide e agli occhi grandi. Era una roba un po’ fai da te e l’effetto finale era quello di un viso alla “egiziana”. Ma non era poi male. E la fragranza di fiori di sambuco, narcisi e gelsomini era più intensa.
Non so, qualcuno, una volta, mi ha detto che sono una “persona visiva”. In realta non credo. Se dovessi, per esempio, valutare, da un punto di vista prettamente estetico, le mie compagne, dovrei ammettere di non aver mai avuto, veramente, delle donne “belle”. Molto più spesso sono stato colpito e affascinato dai dettagli, uno sguardo, le movenze, le mani, i seni, un sedere, le labbra. Ad ogni dettaglio associo anche una valenza erotica, una fantasia che me lo rende unico ed irripetibile, irresistibile. E moltissime altre volte mi colpiscono gli odori, i profumi, i sapori. Centinaia di volte vengo colpito dalle fragranze dei capelli, della pelle, dai profumi. E che dire dei sapori? No, non solo quelli più intimi, quelli meriterebbero un capitolo a parte; tutti, il gusto di una bocca, di un collo, di un lobo di un orecchio. Il sapore di una lacrima, il profumo di una scapola. E allora forse sono anche una persona olfattiva e gustativa? Non so, però una volta ho inseguito una donna solo per il suo profumo. Ma questa mi sa che è un’altra storia.
- Mmm, Meli, come sei carina.
- Eh, un po’ di trucco copre tutto. Grazie però.
- Bevi una cosa?
- Mmm..., ma si, dai, stasera mi dò alla pazza gioia. Pensi che sia possibile avere un calice di vino bianco?
- Sicuramente.
Melissa ed io prendemmo posto sugli sgabelli di fianco al bancone. Eravamo gli unici avventori in quel momento. Appoggiati sul banco, i nostri visi a meno di mezzo metro. Respiravo Melissa che sorseggiava uno Chablis ghiacciato che le appannava il bicchiere.
- Allora Meli? Che te ne pare?
- L’hotel è bellissimo. Ma sai che ho anche la doccia multifunzione?
- Accidenti, no questa non ce l’ho mai avuta, mi sa che questa volta hai fatto tu colpo sul concierge...
- Ma va, magari hanno ristrutturato...
- Ma figurati... E per il resto, che ti è sembrato della giornata?
- Interessantissima. Veramente. Tu fai un lavoro davvero stimolante. Poi ti ho detto, mi piace questa atmosfera olandese, sono tutti così informali, muovono milioni di euro in jeans e polo... cavolo in Italia appena mettono su una fabbrichetta montano una prosopopea...
- Si questo è vero, è tipico dei nordici. Dai, da noi non è neanche così male...
- Secondo me è l’imprinting olandese...
- Beh, può darsi. Domani mattina visitiamo i nostri colleghi, abbiamo appuntamento con la filiale di De Lier. Loro sì che hanno ristrutturato recentemente il building... andiamo a mangiare o vuoi un altro Chablis?
- Mi vuoi fare ubriacare subito? Non avrai intenzione di approfittarti di una indifesa ragazza brilla...
- Ma figurati... poi certe cose vengono meglio tra sobri consenzienti... o sbaglio?
- ... andiamo a cena Sandro.
Il Lenor Fini, il ristorante dell’hotel, ci accolse nella sua atmosfera ovattata. Solo un paio di altri tavoli erano occupati. Il maitre, sovrappeso e sorridente ebbe l’accortezza di condurci ad un tavolo appartato, vicino alle vetrate.
- Wow! Sandro, è bellissimo...
- Si, l’ambiente è abbastanza raffinato... un po’ troppo stile impero per i miei gusti personali.
- Penso che sia il ristorante più carino dove sono sono stata invitata. Grazie.
- Beh, Meli, aspetta di aver mangiato almeno... sai come si dice: “never judge the book by the cover”.
- Si, lo so, era un commento relativo all’atmosfera... è bellissimo.
- Non esci spesso a cena, o sbaglio?
- Ogni tanto. Beh, in posti come questi raramente... con i genitori di Luca, a volte. Un supplizio. Odio essere sotto esame.
- Mi pare non sia un problema grosso per te superare gli esami. Poi siamo sempre sotto esame. O no?
- In qualche modo si. Hai ragione. Solo... Sai cosa mi infastisce di alcune persone? Che ti giudicano principalmente per lo status sociale. Cioè, ti puoi permettere di essere un povero pirla – scusa – se sei ricco ma se sei povero sei uno sfigato se povero e pirla, allora sei davvero un “poveropirla”. Scusa il torpiloquio. Però è vero, molte persone non valutano te come persona, come individuo... ti giudicano per la tua classe sociale di appartenenza. Tipo i genitori di Luca. Non vedono l’ora che mi scarichi e si fidanzi finalmente con le varie Maria Lucrezia, Bianca, Isabella, i vari manici di scopa figlie degli amici.
- Mi sembra di vedere molto di quello che hai definito come “luca-pensiero” in questo, o sbaglio? Dai Melissa, la lotta di classe è fuori moda dagli anni ’80.
- Si? Io sono nata nel 1981, figurati. No, è che cerco veramente di darmi da fare, di cercare di avere piccoli e grandi successi. Vorrei fare una cosa che mi piace, avere un lavoro che mi soddisfa, avere qualche soddisfazione economica anche... mi fa arrabbiare essere giudicata per delle cose sulle quali non ho responsabilità. Valutatemi per quello che faccio IO, che ho fatto IO... non per la fortuna o la bravura dei miei genitori o dei miei nonni! Questo è ingiusto.
- E’ la vita. Meli, ci sarà tempo, non avere fretta. Cavolo, hai diciannove anni! Vedrai che arriverai dove desideri arrivare. Uno dei segreti, almeno per me, è porsi degli obiettivi verosimili, obbligarsi a severi follow-up e soprattutto godere dei piccoli e grandi successi, delle cose belle, anche piccole che la vita ci regala... anche questa serata, del buon cibo, del buon vino, una piacevole compagnia...
- La piacevole compagnia me la sto godendo, anzi, forse ne sto abusando... ti sto sommergendo di quelle che definirai “le stronzate della ragazzina”... per il vino e il cibo vediamo il menù...
- Non penso che tu dica stronzate... hai già scelto qualcosa?
Il menù offriva una lista di cibi semplici ma in rivisitazioni raffinate e in numero tale da non mettere in imbarazzo l’avventore. Diverse zuppe di terra e di mare, l’immancabile “gerookte paling”, gamberi, granchi, ostriche in varie cotture o crudi, il classico “riisttafel”, il tradizionale "Hustpot".
Melissa ed io scegliemmo le stesse cose, un antipasto di ostriche, una versione marina della “erwtensoep” con piccolissimi gamberetti dell’Atlantico e un piatto combinato con gamberoni alla griglia e riso al curry. Continuammo con lo Chablis che Melissa aveva consumato come aperitivo, un Premier Cru Mont de Milieu, Albert Pic & Fils.
- E di te cosa mi dici Sandro? Mi sembri un uomo soddisfatto, ma non completamente... c’entra la tua Letizia?
- Mah, forse non lei intesa come persona fisica... comunque sì, l’argomento relazioni sentimentali è un po’... mah, non trovo i termini giusti. Penso di non avere una storia molto diversa da quella di tanti altri, una bella bruciante delusione seguita da una serie di altre relazioni più o meno lunghe con persone più o meno interessanti. Adesso c’e Letizia...
- E com’è?
- In che senso?
- Mah, in generale, com’è? Bella, alta, decisa, dolce... che ne so... Certo a te le cose bisogna un po’ cavartele di bocca, eh?
- Carina lo è abbastanza... alta, ecco, Letizia è alta, sarà almeno 178 cm, giocava a pallavolo... ha tre anni più di me... mora...
- Ce l’hai una sua foto?
- No, non credo... no.
- Allora non sei innamorato.
- Madonna che sillogismo sballato! Allora cosa dovrei dire io? Tu hai la mia foto e allora sei innamorata di me?
- Touchè... ho detto una stupidaggine. Scusa.
- Poi sempre con queste categorie... no, non è sempre facile stare insieme. Però Letizia è una che si sa divertire e che sa farti divertire, organizza sempre qualche evento nei week-end, un viaggetto, una cena con gli amici... ha questa capacità di relazione... invidiabile. Però in fondo credo sia una persona fredda... un po’ opportunista e calcolatrice...
- Non lo siamo un po’ tutti?
- Si, però... magari in modi diversi.
- Mhmm. Più o meno scoperti, forse intendevi...
Le ostriche non piacquero un gran che a Melissa, invece io le trovai freschissime. Poi scoprii che era la prima volta che le assaggiava e che “il viscido del mollusco crudo” le faceva “rizzare i peli della schiena”.
- Ma quanti ne hai!!
- Vedessi...
Lo Chablis invece era di suo gradimento e le nostre risate riempivano la sala. Non disturbavamo comunque nessuno, visto che l’ultimo avventore, un corpulento signore calvo, probabilmente tedesco, aveva bevuto il suo caffè e si era alzato, lasciandoci completamente soli. La zuppa anche ebbe successo e all’arrivo dei gamberoni eravamo già arrivati a trattare l’argomento “posto più strano dove hai fatto l’amore”. La mia cabina telefonica del lungomare di S. Margherita Ligure vinse sulla sua spiaggia di Jesolo Pineta, almeno a sua detta. Ribattei che ero avvantaggiato dai nove anni di età che ci separavano. I bicchieri ci vennero nuovamente riempiti. Il clima da gita scolastica era al suo climax. Melissa aveva le guance arrossate e si era liberata del gilet. Adesso, a ogni spiritosaggine sua o mia, batteva il palmo della sua bellissima mano sul dorso della mia. Il dessert fu una strepitosa mousse di cioccolato con salsa all’arancia che accompagnammo lei con un Porto Tawny Quinta Do Castelinho vecchio di 20 anni, “più vecchio di me!!” ed io con il consueto Laphroaig dei dopocena all’estero.
Ci alzammo da tavola piacevolmente indolenziti, verso le 21:30. Melissa allacciò un braccio intorno alla mia vita con naturalezza ed io le passai il mio sulle spalle.
- Grazie per la magnifica cena, Sandro. Adesso posso dirlo.
- Grazie a te per la piacevolissima compagnia...
- Anch’io sto bene con te... beh, domani levataccia uguale, mi sembra di capire...
- Beh, no, dai, direi colazione alle sette... OK? Qui alle sette e trenta sono già tutti in ufficio.
- Vada per le sette. Ci vediamo domani a colazione, allora. Buona notte Sandro... e ancora grazie.
Melissa mi colse davvero di sorpresa. Si sciolse naturalmente dal mio braccio, poi si girò verso di me, si sollevò sulle punte dei piedi e, senza meno mi scoccò un bacio fugace sulla bocca. Però ci misi meno di un secondo a riprendermi dalla sorpresa, ad afferrarla per i fianchi, spingerla dolcemente contro la porta della sua stanza e a ristabilire il contatto con le sue splendide labbra morbide che si schiusero al contatto con le mie. Poi fu cioccolato e Porto e una lingua piccola e guizzante che mi provocò una erezione immediata. Melissa mi allontanò dolcemente.
- No, Sandro... è meglio che ci fermiamo qui... stasera... io...
- Se è solo per stasera va bene...
- Scemo. Buonanotte.
Mi baciò nuovamente, un bacio rapido come il primo.
- Buonanotte anche a te. A domani.
Chiuse la porta con un sorriso, lasciandomi stupito, un po’ rapito, con il membro inturgidito, che pulsava dentro i boxer. Ma era fatta. Il pesciolino aveva abboccato. In quel momento non avevo preso ancora in considerazione che il pescatore, in realtà, avrebbe potuto essere lei.
to be continued...

Monday, October 17, 2005

Stagiaire - part one

Nell’Ottobre del 2000 in ufficio arrivò Melissa. Era una stagiaire che avrebbe dovuto passare sei mesi presso di noi, nell’ambito di un accordo tra la nostra azienda e la scuola che l’aveva diplomata, il PACLE Schiapparelli-Gramsci di M*****.

Dall’anno precedente avevo accettato questo nuovo incarico, capitato un po’ per caso, a seguito di una proposta giuntami per vie ufficiose attraverso la mia amica Stefania. Continuavo ad occuparmi di acquisti, ma per conto di una media azienda italo-olandese che si occupava di trading di prodotti ortofrutticoli freschi.

Maurizio, sales manager, nonchè mio responsabile diretto in quanto managing director, mi appioppò seraficamente il compito di erudire la ragazza su tutti gli argomenti di mia pertinenza, che esulavano dalla amministrazione e dalla contabilità, dipartimento al quale era stata assegnata. Perchè lui non aveva proprio tempo. Le prime due settimane, in effetti, non vidi Melissa quasi per nulla, se non durante qualche pause caffè, o incrociandola in corridoio di tanto in tanto. Carmen e Santo si erano occupati della sua introduzione in amministrazione.

Poi, un mercoledì mattina, mi si presentò davanti alla scrivania.

- Buongiorno. Sono Melissa Lenti, sarei in affiancamento a lei per i prossimi giorni...
- Ah, già! Buongiorno Melissa... si, dammi pure del tu... dunque la bozza del tuo introduction ce l’avevo qui...eccola. Siediti.

Per la prima volta la stavo osservando veramente. Nei giorni precedenti la mia attenzione non si era davvero soffermata molto su Melissa. In realtà non apparteneva alla categoria di quelle ragazze che ti giri a guardare, con più o meno discrezione. In ufficio ne avevamo un paio di questi esemplari pseudo top-models. E tutte e due mi stavano discretamente sulle palle, con quei tacchi che ti rompevano l’anima da una parte all’altra dell’edificio, le mossette da femme fatal dei poveri.

La Melissa che mi stava di fronte era davvero una ragazzina, diciannove anni appena compiuti. Una statura che arrivava a mala pena al metro e cinquantacinque e un visino, carino ma non appariscente. Devo ammettere che la mia mente la aveva già ribattezzata un paio di volte “la nana”, ma senza cattiveria, più per categorie logiche crudeli, retaggio dell’adolescenza. Portava i capelli neri lucidissimi tagliati in una specie di caschetto lungo, un po’ come i paggetti delle corti rinascimentali. Due occhi neri enormi, mobilissimi, tanto grandi da sembrare quelli di qualche personaggio uscito dalle pagine dei manga. Un nasino proporzionato, appena spruzzato di una manciata di efelidi ed una bocca magnifica, piena, con le labbra rosa scuro tumide. Il suo visino mi ricordava, anche se alla lontana, un po’ la Phoebe Cates prima maniera. Fisicamente non molto attraente, una struttura compatta, tendente al rotondetto, un seno appena accennato, che si intuiva sotto la maglina nera United Colors of Benetton. Le gambe corte e leggermente tozze, anche se commisurate alla statura, ma due bellissime mani, con le dita lunghe ed affusolate.

- Beh, Melissa, ho letto un po’ il tuo curriculum, ma non nei dettagli. Mi vuoi ricordare qualcosa tu, così un po’ in generale? So che ti fermerai almeno sei mesi con noi, dimmi un po’ quali sono le tue aspettative, le tue ambizioni, di cosa ti vorresti occupare nello stage...

Mi parve subito un po’ spaesata, gli occhi, mobilissimi, già schizzavano in tutte le direzioni, ispezionando punti a caso sulla parete alle mie spalle.

- Beh, io, sa... sai, no, credo che dovrei... vorrei...
- Calma Melissa, calma, vuoi che andiamo a prenderci un caffè? Così facciamo due passi, vieni dai.

Ci avviammo lungo il corridoio nella direzione dell’ingresso, dove stavano posizionate le macchinette distribuisci-tutto, dalle brioches di plastica ai surrogati delle bevande da bar.

- Allora come ti trovi per il momento?
- Beh, abbastanza bene...
- Un po’ frenetico il ritmo, vero?
- Eh, sa, è un bel salto dalla scuola alla azienda... non ero abituata...
- Ma hai poi intenzione di proseguire gli studi all’Università?
- No, non credo, mi piacerebbe cominciare a lavorare sul serio...
- Ho visto che hai un bel 100/100 come valutazione finale, perchè non proseguire? Oramai all’Università ci vanno un po’ tutti...
- Un po’ proprio per quello, altri quattro, cinque anni, non so... magari cominciare subito, poi cresere un po’ in azienda, con qualche corso interno o esterno, che so io. Cioè adesso, come età almeno, sono in un bel vantaggio su un neo-laureato... Poi le lingue le conosco, la contabilità pure...
- Come lo vuoi il caffè?
- Macchiato, grazie.

Rientrammo nell’ufficio acquisti, dove occupavo un angolo vicino alla finestra, separato dagli altri tre colleghi da un grosso ficus benjamin e dalle scaffalutare piene di faldoni. Federico ci rivolse un breve cenno di saluto, Melissa gli era già stata presentata. La scrivania di Umberto era vuota, probabilmente era in viaggio.

- Allora... come tutor dell’ufficio acquisti per il tuo introduction program avrei in mente un paio di giornate in sede... vediamo un po’ gli ordini, la contrattualistica, come nasce un prezzo, le specifiche con la Qualità... poi se c’è altro lo aggiungiamo. Poi pensavo di portarti da qualche Fornitore non lontanissimo, tipo qualche emiliano, andata e ritorno in giornata, tanto ho già un paio di appuntamenti... Se hai voglia e pensi possa esserti utile, possiamo chiedere a Maurizio se puoi accompagnarmi anche dai pomodorai olandesi... vediamo la settimana 43 avrei un incontro con quelli del V** per la fornitura del pomodoro grappolo . Se non hai mai visto quella realtà è davvero interessante.
- Oh, si mi piacerebbe molto...
- Bene, allora cominciamo domani mattina con un po’ di carte, verso le 7:45 va bene? Così puoi assistere all’ultimo scarico delle merci e facciamo due chiacchere con i ragazzi del Controllo Qualità, va bene?
- Va bene.

Nei giorni successivi trascorsi buona parte del mio tempo insieme a Melissa in ufficio e successivamente insieme a Jan, il Quality Mgr, su e giù per i magazzini, dentro e fuori dalle celle frigo, con calibri, brixometri, improvvisando panel tests con magazzinieri e autisti. Melissa sembrava un po’ più sciolta, cominciava a darmi del tu senza imbarazzo e rivolgeva domande pertinenti e non banali più o meno a tutti. Cominciavamo a conoscerci un po’ e gli argomenti di conversazione si allontanavano un po’ più spesso da quelli strettamente legati al lavoro.

Mercoledì ci infilammo in macchina alle 06:00 in direzione campagne del Ferrarese, per un incontro con un consorzio di produttori di zucche gialle. Mi si presentò una Melissa ancora un po’ assonnata, vestita con un tailleur grigio. La giacca le stava evidentemente abbondante di almeno di un paio di taglie. Sorrisi, mi fece quasi tenerezza. Probabilmente l’aveva scippata alla madre o ad una sorella. La gonna sotto il ginocchio le risalì a metà coscia, una volta che ebbe preso posto nella Volvo aziendale. Le sue gambette corte e tozze coperte da un paio di collant neri opachi e scarpine tipo ballerine nere lucide completavano l’abbigliamento. Come sempre senza trucco ma con addosso una piacevolissima fragranza fresca di fiori bianchi.

- Il viaggio sarà un po’ lunghetto Melissa. Se vuoi pisolare un po’ non mi offendo, visto che ti ho costretta ad una levataccia.
- Ma no Sandro, figurati... chi sono esattamente quelli che ci aspettano?

La prima ora del viaggio trascorse in chiacchere più o meno legate al lavoro poi, malgrado tutto, Melissa si appisolò. Reclinò la testa verso il finestrino offrendomi il suo piacevole profilo. Accesi la radio, sintonizzandomi su isoradio per le notizie relative alla viabilità. Di tanto in tanto mi giravo a guardarla. Aveva davvero un bel visino Melissa, una bocca per la quale fare pazzie, un nasino proporzionato, quegli occhi grandi e mobilissimi che adesso teneva chiusi. Con quel tailleurino fuori misura e quell’atteggiamento tutto serio da studentessa modello mi ricordava davvero un po’ i personaggi dei fumetti giapponesi. Magari quelli un po’ hard... I pensieri cominciarono una pericolosa deriva, decisamente poco consona alla situazione. Mentre la mia parte razionale cercava decisamente di allontarsi dal campo minato, il mio spirito selvaggio aveva già deciso quale sarebbe stata la conclusione dello stage di Melissa, almeno per quanto riguardava il sottoscritto. Infischiandosene bellamente delle possibili ripercussioni, delle probabili pesanti conseguenze di immagine, professionali e penali previste per il sexual harassment, il selvaggio aveva già una chiara fantasia erotica: una sorta di bukkake rielaborato in solo, che avrebbe sfruttato al meglio le grazie della giovane stagiaire, in particolare il suo bel visino. Il membro mi si irrigidì all’istante, delineandosi netto sotto la vigogna del pantalone antracite.
...

From Wikipedia, the free encyclopedia.

Bukkake can also mean a Japanese noodle preparation method (doused with miso soup). For that meaning, refer
noodles.
Bukkake is a
group sex practice wherein a series of men take turns ejaculating on a person (often a female). There are strong overtones of erotic humiliation in this practice. Usually in bukkake videos, a beautiful young girl will sit and allow a group of men (sometimes more than a dozen) to come up to her and openly masturbate until they ejaculate on her body (usually on her face and mouth). The girl leaves the semen on her face as another man comes to repeat the routine. Often the scene ends with the girl swallowing the semen gathered. Producers of these films often attempt to find men who ejaculate a large amount. Often in the background of the these videos, men who are waiting for their turn can be seen masturbating to keep themselves erect. When the term bukkake is used in Japan, it usually refers to a method of preparing noodles and not the sexual act.
History
Bukkake is a Japanese invention, pioneered by such Japanese adult video companies as
Shuttle Japan, Soft on Demand, and Moodyz in the first half of the 1990s. Some believe that one significant factor in the development of bukkake was the mandatory porn mosaic in Japan: since the directors could not show penetration they had to figure out new, visually-appealing ways to approach sex acts that would satisfy the audience without violating Japanese law.
One
urban myth purports that the practice originated in feudal Japan as a method of punishing women who had comitted adultery; however, this is not true (its source is the imagination of the writer of a certain adult website, who concocted the story to entice readers to subscribe). At least one notable woman, Catherine Millet, has gone public regarding her sexual enjoyment of bukkake.
Fetish "forced bukkake" movies are popular in Japan. The typical plot features a naïve, uniformed schoolgirl or a demure pantyhosed
office lady somehow finding herself in the predicament of being tied up and drenched with semen against her will.
Some time ago, bukkake began to appear as a theme in western commercial
pornography, although without the orderly, processional tone of the Japanese original. One example which stands out is the American Bukkake series. In Europe, the GGG ("German Goo Girls") series has famously carried on the theme, though with much less emphasis on humiliation (in fact, the women are usually portrayed as enjoying the act) and uniforms (so-called Costume Play) than is seen in Japan, and more on extremely hardcore group sex.
Etymology
Bukkake is the noun form of the
Japanese verb “bukkakeru” (打っ掛ける, to dash [water]), and means simply "splash" or "dash." The compound verb can be decomposed into two verbs: “butsu” (ぶつ) and “kakeru” (掛ける). “Butsu” literally means to hit, but in this usage it appears to be an intensive prefix as in “buttamageru” (ぶったまげる, "completely astonished") or “butchigiri” (ぶっちぎり, "overwhelming win"). Kakeru in this context means to shower or pour. The word bukkake is often used in Japanese to describe pouring out water (or other liquids) with sufficient momentum to cause splashing.
Indeed,
bukkake is more commonly used in Japan to describe a type of dish where the toppings are poured on top of noodles, as in bukkake-udon and bukkake-soba. Here the word presumably refers to the act of splashing fresh semen on a woman's face.

Gokkun
A "light" version of bukkake, known as
gokkun, also exists. Gokkun is an onomatopoeia, which translates into English as "gulp," i.e., the sound one makes swallowing. In the adult video industry, this refers to swallowing semen, often a component of bukkake as well. People outside of Japan often mistake gokkun for bukkake.
to be continued...

Wednesday, October 12, 2005


... a rather interesting summary about PVC quarrel...







God created all elements but one.
By Paul J Clucas

Rather than being a scientific controversy in the normal sense, i.e. between two opposing research groups; the controversy raging between Greenpeace and the PVC industry has been holding the public’s attention for over ten years, and is on the verge of significantly affecting our lives.
The controversy defined.
There is no single controversy surrounding PVC. Instead, PVC, a bulk commodity plastic that is one third chlorine, is, according to Greenpeace, guilty of many offences at all stages of its existence. The monomer, vinyl chloride, from which PVC is made, is highly carcinogenic. Further, the process by which the monomer is made results in the production of dioxins, nature’s most toxic substance. The polymer itself, so that it may be processed, requires the addition of stabilisers. Stabilisers are usually made form heavy metals such as lead or cadmium; compounds which are known to be environmental poisons. Flexible PVC also requires the addition of large amounts (up to 50% by weight) of volatile low molecular weight compounds called phthalates to give it flexibility. It has been shown that phthalates produce carcinogens in rodents, and are thought to be responsible for endocrine disruptive processes observed in the environment over recent years. Further, phthalates are not stable, and they, together with other additives, migrate out of PVC and into the environment over a period of years. The level of phthalates in the environment is increasing. Flexible PVC is commonly used in children’s toys. Disposal of PVC is also a tricky business. It is difficult to recycle because of its poor thermal stability and poor compatibility with other bulk plastics. Incineration results in the production of dioxins as well as hydrochloric acid gas. So as to remove the acid gas, salts are employed, and it has been shown that the amount of salt waste, in addition to the heavy metal stabiliser residues, constitutes a higher environmental risk than the original waste. Thus, more often than not, PVC is land-filled. The problem with land filling however is that phthalates and additives can migrate out into the environment over a period of time. Recently, vinyl chloride gas was detected in the surface soil of a number of land fills known to contain PVC waste.
A reply from the PVC Industry.
The PVC industry has replied to all of Greenpeace's accusations, often using convincing heavy weight scientific data to support their responses. Regarding the carcinogenic nature of the vinyl chloride monomer, the PVC industry point out that the type of liver cancer associated with this compound is highly specific, and has only ever been observed in small groups of PVC autoclave cleaners who were exposed to very high levels of vinyl chloride everyday for several years. Before the carcinogenic nature of vinyl chloride was identified, nearly thirty PVC workers had died from vinyl chloride related liver cancer. Concerning the production of dioxins during vinyl chloride manufacture, the PVC industry points out that, if the process is carefully monitored, then the same dioxins are destroyed at a later stage of the same process, resulting in a net dioxin production of zero. Greenpeace disputes this, and has shown high levels of dioxin in the environment around PVC factories. However, the PVC industry is required by law to follow certain stringent emission guidelines, and therefore claims to regularly monitor the levels of dioxin emissions at its plants. From the viewpoint of additives, the PVC industry points out that heavy metal free stabilisers are available, such as calcium/zinc stabilisers, and even the new class of organic stabilisers that are entering the market. Further, the PVC industry claims that the phthalates used in flexible PVC are, despite affecting rodents, not carcinogenic in humans, and possess no endocrine disruptive properties. In terms of disposal, the PVC industry claims to be continually developing ways of improving the recyclability of its product. Also, incineration of PVC waste is not considered to be any more hazardous than the incineration of other forms of waste. In terms of land-filling, the PVC industry point out that a number of new reports have shown that rigid PVC is completely inactive, whereas it admits that flexible PVC will leach plasticiser and additives up to a certain level. Finally, the presence of vinyl chloride gas found in the surface soils of land fill sites is not related to PVC since PVC does not chemically break down into its monomer.
Consequences of the controversy for Government and industry.
The consequences of the PVC debate for the PVC industry have been profound. In Europe we are seeing significant efforts by both Government and industry to tackle the PVC problem. Recently, the Swedish Government decided to begin a voluntary phasing out of lead stabilisers (the most common heat stabiliser in PVC produced in Europe) from the turn of the century. Similar plans are already being discussed by the Dutch and Norwegian governments. Moreover, the Danish Government has banned the use of lead from 1st November 1999. With regard to PVC, all lead stabilisers are to be phased out between 1st November 2000 and 1st November 2002. Further, many large companies, such as IKEA, Nike, Disney, Mattel, and Hasbro have already stopped using PVC in its packaging and products because of the risks associated with phthalates and heavy metal stabilisers. Many toy retailers, such as Toys-R-Us, K-Mart, Warner Brothers Studio Stores, have removed PVC containing products from its shelves.
Consequences of the controversy for the public.
The chemical industry has never been popular with the public. Large industrial companies are perceived as being more interested in profits than the environment. Numerous environmental disasters followed by apparent industry cover ups have further fuelled public cynicism. The PVC industry has been late to respond to public concerns. At fault is industries attitude to the consumer. The PVC industry, perhaps in it’s scientific arrogance, seems only to care about being vindicated in the eyes of other scientific experts. Indeed, in an industrial forum, the PVC industry is almost in self-congratulatory mood; as far as it is concerned, the storm is over, all the questions have been answered, and PVC is a scientifically proven safe product. The public, because of it’s lack of interest, or understanding, of the hard scientific facts being presented by the PVC industry, remains unconvinced. In general, it perceives PVC as being a bad product, and supports an eventual phasing out.
Greenpeace and their scientific validity.
Greenpeace want a complete phase-out of chlorine related chemistry. Ideologically, they see chlorine containing chemicals as possessing the greatest threat to humans and the natural environment. Greenpeace’s basic premise is that if alternatives are available then it should be phased out today. Also, they want to see a phasing out of the largest industrial users of chlorine first. PVC is therefore an important cornerstone since it represents the largest industrial user of chlorine, and suitable alternatives, according to Greenpeace, are already available.
Over the last decade Greenpeace have published a large number of damning reports which are apparently supported by good scientific evidence. One major problem however is that the majority of Greenpeace’s funding is used for advertising campaigns, leaving little money for research. As a result of this, the experiments Greenpeace have performed are often viewed by industry as being crude and unscientific. One example in a recent report by Greenpeace concerned the toxicity of phthalate plasticisers to aquatic life. Greenpeace claimed that phthalates were toxic to marine life; a claim which was supported by a number of experiments in which high concentrations of phthalates were seen to give rise to toxic effects in fish. What Greenpeace failed to realize was that phthalates are virtually insoluble in water, the level of soluble phthalates being well below the level required to produce toxic effects in marine life. In reality, phthalates tend to aggregate in the sediment level below the water level posing no threat to fish life. Another example concerns a Greenpeace report exposing high levels of dioxins in river water in the vicinity of a PVC plant in Germany. What Greenpeace failed to notice was that the PVC plant was downstream from the site at which samples were taken. The formation of dioxins in flue gases during incineration has also been a subject of much heated debate. Greenpeace claimed that since PVC is the largest single source of chlorine in waste then it must be PVC that is responsible for dioxin formation. In a recent study however it was shown that dioxin formation is more strongly dependant upon the temperature at which incineration occurs than the composition of the waste being incinerated. Further, when the dioxin emissions of normal waste and PVC free waste were compared, no significant difference was detected. In a final test however, in which all sources of chlorine were removed, a substantial reduction in the production of dioxins was observed. It was suggested that table salt contamination of household waste was the likely active component in dioxin formation. Recently, Greenpeace have published several reports which show phthalates in children’s toys to be harmful to the children playing with them, especially in situations in which the child chews or sucks the toy. Greenpeace have conducted experiments which are meant to simulate the action of chewing or sucking a flexible PVC toy. Greenpeace, using a solvent extraction procedure, have shown that high levels of phthalate plasticiser and lead stabiliser are present in the solvent after long extractions. However, their choice of experimentation has been attacked for being too extreme, and not representative of the true situation. The toxicity of lead stabilisers used in window blinds has also been reported by Greenpeace. According to their report, young children are at danger from lead poisoning if they touch or lick the blinds. Greenpeace have shown lead stabilisers to leach out of the rigid PVC blinds in the form of a surface dust whilst under the oxidative effects of sunlight. The reliability of these claims have again been questioned by industry since Greenpeace failed to reveal the experimental source of their data.
Greenpeace: true motives and twisting truths.
Greenpeace’s Achilles heel may be their unclear political/financial motivation. An industry related pro-chlorine group called ‘the chlorophiles’ have recently published a report entitled ‘The hidden side of Greenpeace’. The report is an obvious propaganda piece, however it contains a considerable amount of interesting information, it’s most damning message that Greenpeace is not a caring environmental group as such, but rather ‘a profit hungry monster ready to pull any trick to make a buck’. This statement may be quite far off the mark, and quite recently Greenpeace was forced to lay off a significant number of its full-time members as a result of cash shortages. Membership of Greenpeace has been steadily decreasing over the last ten years, and it is apparently in severe financial trouble. It does however, raise certain questions about Greenpeace’s sincerity, especially in view of some well documented deceptions that Greenpeace has recently tried to pull over the publics eyes. The Brent spar fiasco, which lost Greenpeace a considerable amount of public and private support, is probably the most famous example of this.
With regard to PVC, careful reading of Greenpeace’s literature reveals further less obvious twists of the truth. According to Greenpeace ‘Phthalates are a carcinogenic class of chemicals with oestrogen mimicking properties. The largest industrial usage of phthalates is in flexible PVC.’ Both of these sentences are true. However, what Greenpeace has failed to mention is that those phthalates that are used in flexible PVC possess almost zero toxicity, and show a very low oestrogen mimicking potential (in fact, it is lower than broccoli!). This simple deception leads the reader to believe something quite different. There are many other examples of ‘twists’ by Greenpeace that would appear to be a deliberate attempt to disguise the truth. However, remembering again Greenpeace’s financial situation, it is also possible that those people who write Greenpeace’s literature simply don’t have a sufficient background in the subject they are writing about. Whether Greenpeace are deliberately deceiving, or whether they are simply producing shoddy work because of cash and information shortages is debatable. The net effect however is to provide an excellent platform for the PVC industry to discredit their claims with.
Putting things into perspective.
The PVC industry claims that even if they were to hold up their hands and cry guilty to many of Greenpeace’s claims, in a proper perspective, and after a balance of pro’s and cons, PVC would still not be seen to be any more dangerous to man or the environment than any other plastic. An example of this is lead stabilisers. According to a recent review of lead stabilisers in PVC pipes in Sweden, the annual lead consumption for stabilisers in PVC pipes, in context of the total annual lead consumption, corresponds to 0.7% (225 tonnes) of all lead consumed in Sweden annually. To put this in further context, crystal glass accounts for 4% (1 300 tonnes), and fishing weights account for almost 2% (600 tonnes) of lead consumed in one year. According to the same report, the estimated annual emissions of lead from PVC pipes into the environment in Sweden corresponds to 0.001% (80 Kg) of the total lead emissions. This estimation is based upon the fact that only lead stabilisers present at the surface of the material are released into the environment. Again, putting this into context, fishing weights account for 11_% (600 tonnes), and ammunitions account for 23% (1 200 tonnes) of annual lead emissions into the Swedish environment. Since PVC piping accounts for over half of the total rigid PVC production, then, based upon this assessment, one would expect the total level of emissions from rigid PVC applications in Sweden to be no more than 150 — 160 Kg per annum, or 0.002%. If these figures are reliable, then the use of lead stabilisers in PVC would seem non-significant.
Unanswered questions: the PVC industry goes quiet.
The PVC industry thinks the fight is won. However there remain still a number of unanswered questions. What happens to PVC after 100 years in the ground? Will PVC ever be viably recyclable? What about dioxin production at poorly monitored vinyl chloride plants? What are the long term effects of increasing levels of phthalates in the food chain? The PVC industry has no answers to these questions.
Afterthought.
Although Greenpeace are discredited in the eyes of the PVC industry, other production industries are not so confident. The consumer, in general, would rather avoid PVC. As a result of this, and in spite Greenpeace becoming increasingly marginalized, PVC is being actively replaced in many applications. At the end of the day, Greenpeace have perhaps become victims of their own naïve over-enthusiasm; the PVC industry has perhaps become a victim of its slowness to concern itself with the public’s opinion.

Monday, October 10, 2005


How silently they tumble down
And come to rest upon the ground
To lay a carpet, rich and rare,
Beneath the trees without a care,
Content to sleep, their work well done,
Colors gleaming in the sun.
At other times, they wildly fly
Until they nearly reach the sky.

Twisting, turning through the air
Till all the trees stand stark and bare.
Exhausted, drop to earth below
To wait, like children, for the snow.

(Nursery Ryme - Unknown)

Sunday, October 02, 2005



I found a nice conspiracy theory on the net. I really had fun, the plot is fascinating. Enjoy it!
Antarctica Enigma

This invasion of the continent of Antarctica was named ‘Operation High Jump’ and comprised of some 4700 military personnel, six helicopters, six Martin PBM flying boats, two seaplane tenders, fifteen other aircraft, thirteen US Navy support ships and one aircraft carrier; the USS Philippine Sea.
It seems incredible that so shortly after a war that had decimated most of Europe and crippled global economies, an expedition to Antarctica was undertaken with so much haste (it took advantage of the first available Antarctic summer after the war), at such cost, and with so much military hardware - unless the operation was absolutely essential to the security of the United States.
At the time of the operation, the US Navy itself was being taken apart piece by piece as the battle-tested fleet was decommissioned with its mostly civilian crew bidding farewell to the seas forever. The Navy was even reduced to further recruitment to man the few remaining ships in service (1).
Tensions across the globe were also mounting as Russia and America edged into a Cold War, possibly a Third World War that the US would have to fight with "tragically few ships and tragically half trained men (2)." This made the sending of nearly 5,000 residual Navy personnel to a remote part of the planet where so much danger lurked in the form of icebergs, blizzards and sub-zero temperatures even more of a puzzle. The operation was also launched with incredible speed, "a matter of weeks (3)." Perhaps it would not be uncharitable to conclude that the Americans had some unfinished business connected with the war in the polar region. Indeed this was later confirmed by other events and the operation’s leader, Admiral Richard Byrd, himself.
However, the official instructions issued by the then Chief of Naval Operations, Chester W. Nimitz (right), himself of German descent, were: to (a) train personnel and test material in the frigid zones; (b) consolidate and extend American sovereignty over the largest practical area of the Antarctic continent; (c) to determine the feasibility of establishing and maintaining bases in the Antarctic and to investigate possible base sites; (d) to develop techniques for establishing and maintaining air bases on the ice, (with particular attention to the later applicability of such techniques to Greenland) and (e) amplify existing knowledge of hydrographic, geographic, geological, meteorological and electromagnetic conditions in the area (4).
Little other information was released to the media about the mission, although most journalists were suspicious of its true purpose given the huge amount of military hardware involved. The US Navy also strongly emphasized that Operation Highjump was going to be a navy show; Admiral Ramsey’s preliminary orders of 26th August 1946 stated that "the Chief of Naval Operations only will deal with other governmental agencies" and that "no diplomatic negotiations are required. No foreign observers will be accepted." Not exactly an invitation to scrutiny, even from other arms of the government.

Admiral Byrd, was a strategic choice as he was a national hero to the Americans; he had pioneered the technology that would be a foundation for modern polar exploration and investigation, had been repeatedly decorated, had undertaken many expeditions to Antarctica and was also the first man to fly over both poles.
However, the task force itself, remained strictly under the military command of Rear Admiral Richard Cruzen.
The ships of the central group entered the ice pack off the Ross Sea on 31st December 1946 and found conditions as bad as had been noted for over a century. Icebreakers such as the USCGC Burton Island (below), a ship that had only recently been commissioned and was still undergoing sea trials off the Californian coast when Operation High Jump was launched, fought to cut a way through the ice to help the men land. (Again, pulling a newly commissioned ship off trials adds to the sense of the urgency of the overall operation.)

The main force was divided into three groups. The Central Group comprised of the USS Mt. Olympus (communications); USS Yancey (supply); USS Merrick (Supply); USS Sennet (submarine); USCGC Burton Island (Icebreaker) and USCGC Northwind (icebreaker.) The East Group consisted of the USS Pine Island (seaplane tender); USS Brownson (destroyer) and the USS Canisteo (tanker). Finally there was the West Group which was made up of the USS Currituck (seaplane tender); the USS Henderson (Destroyer) and the USS Capapon (tanker.) (The operation also had the aircraft carrier USS Philippine and a Base Group headed by Commander Clifford M. Campbell.

Following its arrival at Antarctica, the force began a reconnaissance of the continent. Byrd himself was onboard the first of the planes to take off on 29th January 1947. Rocket propulsion tubes (JATO bottles) had been attached to the side of the aircraft and the carrier was manoeuvred for a 35mph run to help get the planes airborne. "From the vibration of the great carrier", Byrd later wrote, "I knew when the captain had got the ship up to about 30 knots (35 mph). We seemed to creep along the deck at first and it looked as if we would never make it … But when our four JATO bottles went off along the sides of the plane with a terrific, deafening noise I could see the deck fall away. I knew we had made it (5)."
Over the next four weeks the planes spent 220 hours in the air, flying a total of 22,700 miles and taking some 70,000 aerial photographs (6).
Then the mission that had been expected to last for between 6-8 months, came to an early and faltering end. The Chilean press reported that the mission had "run into trouble" and that there had been "many fatalities". (The official record, though, states that one plane crashed killing three men; a fourth man had perished on the ice; two helicopters had gone down although their crews had been rescued and a task force commander was nearly lost (7).)
The Chilean claims to one side, it is known that the Central Group of Operation Highjump were evacuated by the Burton Island ice-breaker from the Bay of Whales (above) on 22nd February 1947; the Western Group headed home on 1st March 1947 and the Eastern Group did likewise on 4th March, a mere eight weeks after arrival.

Quite what was going on is still not a matter of public record, however it is known that Byrd was immediately summoned to Washington and interrogated by the Security Services on his return after being initially ‘welcomed back’ by Secretary of War James Forrestal (left) on 14th April 1947. (Forrestal was late to commit suicide.)
On 5th March 1947 the ‘El Mercurio’ newspaper of Santiago, Chile, ran the headline ‘On Board the Mount Olympus on the High Seas’ which quoted Byrd in an interview with Lee van Atta. "Adm. Byrd declared today that it was imperative for the United States to initiate immediate defense measures against hostile regions. The Admiral further stated that he didn’t want to frighten anyone unduly but it was a bitter reality that in case of a new war the continental United States would be attacked by flying objects which could fly from pole to pole at incredible speeds.
Admiral Byrd repeated the above points of view, resulting from his personal knowledge gathered both at the north and south poles, before a news conference held for International News Service." Bearing in mind that all this occurred (the search for craft that could fly from pole to pole at ‘incredible’ speeds) a year after the war had ended with Germany defeated, makes it all the more intriguing.
So who was the enemy that owned or flew these flying objects? Germany was apparently defeated, and there was no evidence that the new emerging enemy, Russia, had such superior technologies. Certainly there was no other known country whose activities that could explain the US invasion of Antarctica nor for the development of any craft that could fly "fly from Pole to pole with incredible speeds." Rumours began to circulate that whilst Germany had been defeated, a selection of military personnel and scientists had fled the fatherland as Allied troops swept across mainland Europe and established themselves at a base on Antarctica from where they continued to develop advanced aircraft based on extraterrestrial technologies. (It is interesting to note that at the end of the war the Allies determined that there were 250,000 Germans unaccounted for, even taking into account casualties and deaths.)
Incredible as it may sound, there is considerable supporting evidence for these claims about a German base for, on the very eve of the Second World War, the Germans themselves had invaded part of Antartica and claimed it for the Third Reich. In fact Hitler had authorised several expeditions to the poles shortly before WWII. Their stated objective was to either to rebuild and enlarge Germany’s whaling fleet or test out weaponry in severely hostile conditions. Yet, if true, all of this could have been achieved at the North Pole rather than at both poles and been much closer to home.

The Germans had long held an interest in the South Polar region of Antarctica with the first Germanic research of that area being undertaken in 1873 when Sir Eduard Dallman (1830-1896) discovered new Antarctic routes with his ship ‘Grφnland’ during his expedition for the German polar Navigation Company of Hamburg. (The Grφnland also achieved the distinction of being the first steamer to operate in the southern ocean.)

A further expedition took place in the early years of the twentieth century in the ship the Gauss (which became embedded in the ice for 12 months – above), and then a further expedition took place in 1911 under the command of Wilhelm Filchner (left) with his ship the ‘Deutchland’.
Between the wars, the Germans made a further voyage in 1925 with a specially designed ship for the Polar Regions, the ‘Meteor’ under the command of Dr. Albert Merz.
Then, in the years directly preceding the Second World War, the Germans laid claim to parts of Antarctica in order to set up a permanent base there. Given that no country actually ‘owned’ the continent and it couldn’t exactly be conquered as no-one lived there during the winter months at least, it appeared to the Germans that the most effective way to ‘conquer’ part of the continent was to physically travel there, claim it, let others know of their actions and await any disagreements.

Captain Alfred Ritscher was chosen to lead the proposed strike. He had already led expeditions to the North Pole and had proved himself in adverse and critical situations. For the mission Ritscher was given the ‘Schwabenland’ (below); a German aircraft carrier that had been used for transatlantic mail deliveries by special flightboats, the famous 10 ton Dornier Super ‘Wals’ since 1934.

These ‘Wals’ were launched by catapult from the Schwabenland and had to be accelerated to 93mph before they could become airborne. At the end of each flight a crane on the ship lifted the aircraft back on board after they landed in the sea. The ship was refitted for the expedition in the shipyards of Hamburg, and around one million Reichmark – nearly a third of the entire expedition budget - was spent on this refit alone. The crew was prepared for the mission by the German Society of Polar Research and as these preparations neared completion, the organization invited Admiral Byrd to address them, which he did. The Schwabenland left the port of Hamburg on 17th December 1938 and followed a precisely planned and determined route towards the southern continent. In little over a month the ship arrived at the ice covered Antarctica, dropping anchor at 4° 30Ά W and 69° 14Ά S on January 20th 1939 (8).

The expedition then spent three weeks off Princess Astrid Coast and Princess Martha Coast off Queen Maud Land (9). During these weeks, the two Schwabenland aircraft, the ‘Passat’ and ‘Boreas’, flew 15 missions across some 600,000 square kilometres of Antarctica, taking more than 11,000 pictures of the area with their specially designed ‘Zeiss Reihenmess-bildkameras RMK 38’. (One of these photographs, below left.)

These pictures showed that some of the older Norwegian maps of the area from 1931 were not only inaccurate, but occasionally fabricated, as the original ‘maps’ bore no resemblance to the photographic images now obtained. (In fact the Norwegian expeditions that had prepared these earlier maps had never actually gone as far inland as some of the areas detailed on their maps.)
Nearly one fifth of Antarctica was reconnoitered in this way and, for the first time, ice-free areas with lakes and signs of vegetation were discovered. This area was then declared to be under the control of the German expedition, renamed ‘Neu-Schwabenland’ and hundreds of small stakes, carrying the swastika, were dumped on the snow-covered ground from the ‘Wals’ to signal the new ownership.

Ritscher and the Schwabenland left their newly claimed territory in the middle of February 1939 and returned to Hamburg two months later, complete with photographs and maps of the new German acquisition.

The true purpose of this expedition has never been satisfactorily explained; we are merely left with a series of puzzles, related reports and snippets of information that are no longer open to verification. What is not open to doubt however, is that in the decade preceding the Second World War, the Germans did almost nothing that did not put the entire structure of the country on a war footing.
This activity affected all aspects of German life; military, civilian, economic, social and foreign policies, engineering, industry etc. Given that the seizing of Neu-Schwabenland occurred on the very eve of the war, it can only be concluded that that the polar expedition was of major importance and significance to the goals and development of the planned 1000-year Third Reich.
And this ‘invasion’ was certainly not the end to German activity in the area; rather the prelude, providing support for the idea that Germany might have established a base on the apparently frozen wasteland. That German activity continued around Antarctica through the war years is a matter of historical record. In 1939, the ship ‘Schleswig-Holstein’ is reported to have inspected Iles Kerguelen, Ile Saint-Paul, Ile Amsterdam, Iles Crozet, Prince Edward Islands, and Gough Island and later visited Cape Town (10).
During the period 1939 – 1941 Captain Bernhard Rogge of the raider ship ‘Atlantis’ made an extended voyage in the South Atlantic, Indian and South Pacific Oceans, and visited the Iles Kerguelen between December 1940 to January 1941 (burying a seaman at Bassin de la Gazelle). The Atlantis is known to have been visited by an RFC-2 (the ‘UFO’ style craft which had served as a reconnaissance aircraft since late 1940.) The ship then adopted a new disguise as Tamesis before being sunk by HMS Devonshire near Ascension Island, on 22nd November 1941 (the Atlantis was also known as Hilfskreuzer 16 and was, at various times, disguised as Kasii-Maru or Abbekerk. (11).)
Although the activities of the German ship Erlangen, under the captaincy of Alfred Grams, do not appear to be of consequence during 1939-40, the same cannot be said of the Komet which was commanded by Captain Robert Eyssen. Following her passage along the Northern Sea Route in 1940, this commerce raider operated in the Pacific and Indian oceans, including a voyage along the Antarctic coastline from Cape Adare to the Shackleton Ice Shelf in search of whaling vessels during February 1941. There she met the Pinguin and supply vessels Alstertor and Adjutant. (Komet was also known as Hilfskreuzer 45 and was sunk off Cherbourg in 1942 (12).)

The Pinguin itself under the command of Captain Ernst-Felix Kruder was a commerce raider that operated chiefly in the Indian Ocean. In January 1941 she captured a Norwegian whaling fleet (factory ships Ole Wegger and Pelagos, supply ship Solglimt and eleven whale catchers) in about 59° S, 02° 30W. One of these catchers (renamed Adjutant) remained as a tender and the rest were sent to France. This ship also made anchorages at the Iles Kerguelen and may have landed a party on Marion Island. (Pinguin was sunk off the Persian Gulf by HMS Cornwall0 on 8th May 1941 after she had captured 136,550 tons of British and allied shipping. She was also known as Hilfskreuzer 33, and disguised herself at various times as Tamerlan, Petschura, Kassos and Trafalgar (13).)
This island of Kerguelen (named the ‘Most Useless Island In the World’ in 1995) continued to feature prominently in Nazi plans. For example, in 1942 the German Navy planned to establish a meteorological station there. In May of that year the ship Michel (Hilfskreuzer 28) transferred a meteorologist and two radio operators with full equipment to a supply vessel Charlotte Schlieman that went on to the island, however the orders for the station were later counter-manded (14). (Kerguelen Island was also the centre of a mid 19th Century mystery. Then entirely uninhabited, except for seals and seabirds, British Captain Sir James Clark Ross landed there in May 1840. He found in the snow unidentifiable "traces … of the singular footprints of a pony, or ass, being 3 inches in length and 2½ inches in breadth, having a small deeper depression in either side, and shaped like a horseshoe." Similar markings appeared overnight in the Devon area of England fifteen years later and have also defied adequate explanation.)
Then in 1942 Captain Gerlach in his ship the ‘Stier’ investigated nearby Gough Island as a possible temporary base for raiders and a camp for prisoners. (Stier was also known as Hilfskreuzer 23.)
This ship activity does not appear considerable, however the level of U-boat activity in the South Atlantic was much higher. The exact nature and extent of how high will probably never be known, however some insight might be gleaned from the fact that between October 1942 and September 1944 16 German U-boats were sunk in the South Atlantic area (see Appendix I).
Apart from their normal patrols, some of these submarines did appear to be engaged in covert activities. For example submarine U-859 which, on 4th April 1944 at 04.40hrs, left on a mission carrying 67 men and 33 tons of mercury sealed in glass bottles in watertight tin crates. The submarine was later sunk on 23rd September by a British submarine (HMS Trenchant) in the Straits of Malacca and although 47 of the crew died, 20 survived. Some 30 years later one of these survivors spoke openly about the cargo and divers later confirmed the story on rediscovering the mercury. The significance being that mercury is usable as a fuel source for certain types of aerospace propulsion. Why would a German submarine be transporting such a cargo so far from home?

Although this is the known record of Nazi activity around Antarctica before 8th May 1945 when Germany surrendered unconditionally to the Allies, events after that date suggested something was happening that did not form a part of recognised world history. Something fuelled by a statement made by Karl Denitz.
Denitz (16th September 1891 – 24th December 1980) had become Oberbefehlshaber der Kriegsmarine on 31st January 1943 and he led the German U-Boat fleet until the end of World War II. (Denitz also has the distinction of briefly becoming head of the German state for 20 days after Hitler’s death until his own capture by the Allies on 23rd May 1945.) His contribution to the mystery of post-war Antarctic activity came in a statement he made in 1943 when he declared that the German submarine fleet had rebuilt "in another part of the world a Shangri-La land – an impregnable fortress." Could he have been referring to the alleged base in Antarctica?
Certainly there are records of continued German naval activity in the area after the war had apparently ended. For example, on 10th July 1945, more than two months after the cessation of known hostilities, the German submarine U-530 surrendered to Argentine authorities. The background to this event is puzzling. It is known that the boat had left Lorient in France on 22nd May 1944 under the captaincy of Otto Wermuth for operations in the Trinidad area, and after successfully rendezvousing with the incoming Japanese submarine I-52, it headed for Trinidad before finally returning to base after 133 days at sea. The boat’s official record states that between October 1944 and May 1945 it formed part of the 33rd Flotilla and on Germany’s surrender Otto Wermuth’s captaincy and the submarine’s career came to an end. Yet two months later it arrived in Rio de la Plata in Argentina and surrendered to the authorities there on 10th July 1945.
History also records that the U-boat, U-977, left Kristiansand in Norway on 2nd May 1945 for combat patrol in the English Channel. After Germany’s surrender, Captain Heinz Sch?ffer decided to head for the South Atlantic but he first gave the married men on board the chance to go ashore; 16 of them took Sch?ffer up the offer. After a 66-day submerged trip, and a further run on the surface, U-977 arrived in Mar del Plata, Argentina on 17th August, and later surrendered to the US in Boston on 13th November 1945 three months later. Its activities during this period are unknown. This incident occurred shortly after the end of the war, however, there continued to be accounts of German activity for a considerable post-war period. The French ‘Agence France Press’ on 25th September 1946 stated "the continuous rumours about German U-boat activity in the region of Tierra del Fuego [‘Feuerland’ in German] between the southernmost tip of Latin America and the continent of Antarctica are based on true happenings." Then the French newspaper, ‘France Soir’ gave the following account of an encounter with such a German U-boat. "Almost 1 – ½ years after cessation of hostilities in Europe, the Icelandic Whaler ‘Juliana’ was stopped by a large German U-boat. The Juliana was in the Antarctic region around Malvinas Islands [The Falklands] when a German submarine surfaced and raised the German official Flag of Mourning – red with a black edge. "The submarine commander sent out a boarding party, which approached the Juliana in a rubber dingy, and having boarded the whaler demanded of Capt. Hekla part of his fresh food stocks. The request was made in the definite tone of an order to which resistance would have been unwise. "The German officer spoke a correct English and paid for his provisions in US dollars, giving the Captain a bonus of $10 for each member of the Juliana crew. Whilst the foodstuffs were being transferred to the submarine, the submarine commander informed Capt. Hekla of the exact location of a large school of whales. Later the Juliana found the school of whales where designated."
Could it be possible that other German U-boats, in addition to U-530 and U-977 were continuing to operate in the area following the war? There are no formal records of such activity, however it is known that 54 German U-boats ‘disappeared’ during the war, of which only 11 are likely to have met their fate at the hands of mines (see appendix II). The future may well reveal that fate of more of these submarines, however given the French and South American reports, and the number of missing U-boats, it may not be unreasonable to conclude that at least some of them relocated to the South Polar area. History also gives us further clues as to a Nazi-Antarctica connection, for it records that Hans-Ulrich Rudel of the German Luftwaffe (above) was being groomed by Hitler to be his successor. It is known that Rudel made frequent trips to Tierra del Fuego at the tip of South America nearest Antarctica. And one of Martin Bormann’s last messages from the bunker in Berlin to Donitz also mentioned Tierra del Fuego. Then there are claims about Rudolph Hess Hitler’s best friend who went to England and was arrested as a war criminal on 10th May 1941. Following his arrest, Hess was held in Spandau Prison in isolation until his death. Such unique treatment is suggestive that he had information that the Allies considered dangerous. Indeed, in his book ‘Secret Nazi Polar Expeditions’ Christof Friedrich states Hess "was entrusted with the all-important Antarctic file … Hess, himself, kept the Polar file…" (15)
However, for Operation Highjump to have been an attempt to ferret out a remaining Nazi base on the Antarctic continent, there would have been two prerequisites. Firstly, Operation Highjump would have to provide evidence that the mission included a reconnaissance of Neu-Swabenland and secondly, there would have to be an area of the frozen continent that could allow such a base to exist throughout the year. And indeed both criteria are met. Both the Eastern and Western Groups of Operation Highjump had been active around Neu-Schwabenland. So was a Russian boat that "proved to be unfriendly" (16). The Eastern group were frustrated in their efforts to make a reconnaissance of the area, despite incredible efforts to secure photographs for later examination. However by then "it was very late in the season ... The sun had only been briefly glimpsed in the past few weeks, but everyone could tell that the continually grey skies and clouds were darkening daily. In another month all light would be gone from Antarctica…. The waters girdling the continent would begin to freeze rapidly, binding unwary ships in a crushing embrace … Dufek [the commander] was loath to surrender. He ordered his ships northwards away from the pack. Perhaps one or two more flights might be possible. But on the morning of 3 March … virgin ice was seen to be forming on the water’s surface [and the] Eastern group steamed out of Antarctica. (17)"
The Western Group, however, were to make a remarkable discovery. At the end of January 1947 a PBM piloted by Lieutenant Commander David Bunger of Coronado, California, flew from his ship, the Currituck and headed towards the continent’s Queen Mary Coast. On reaching land, Bunger flew west for a time, then, coming up over the featureless, white horizon, he saw a dark, bare area which Byrd later described as "a land of blue and green lakes and brown hills in an otherwise limitless expanse of ice." (18) Bunger and his men carefully reconnoitred the area before racing back to the Currituck with news of their find. The ‘oasis’ they had discovered covered an area of some three hundred square miles of the continent and contained three large, open water lakes along with a number of smaller lakes. These lakes were separated by masses of barren, reddish-brown rocks possibly indicating the presence of iron ore. Several days later, Bunger returned to the area, and found that the water was warm to the touch and the lake itself was filled with red, blue and green algae giving it a distinctive colour. Bunger filled a bottle with the water which later "turned out to be brackish, a clue to the fact that the ‘lake’ was actually an arm of the open sea." (19)
This is important for two reasons; warm, inland lakes connected to the surrounding oceans would be perfect for submarines to hide within, and similar lakes have been noted in Neu-Schwabenland, the site of the alleged Nazi base. There is no conclusive evidence of a Nazi base on Antarctica, however that something untoward was happening on, or around, the frozen continent appears, on balance of probabilities, to be likely. The evidence is there; i) The Germans invaded and claimed part of Antarctica on the very eve of the war when all of their activity was geared towards the war machine and the establishment of a 1000-year Reich. ii) There was ongoing ship and submarine activity in the South Atlantic and polar regions throughout and after the war had apparently ended. iii) The US invaded the continent itself with considerable naval resources leaving mainland America exposed and vulnerable as the world edged into the Cold War. The task force limped home as if defeated only weeks later, and the local South American press wrote of such a defeat. iv) Admiral Byrd spoke of objects that could fly from pole to pole at incredible speeds being based on Antarctica. v) Hundreds of thousands of Germans and numerous U-boats were missing at the end of the war. The connection between Antarctica and the UFO phenomenon was sealed with claims made by one Albert K. Bender who stated that he "went into the fantastic and came up with an answer … I know what the saucers are."

Bender ran an organization called the ‘International Flying Saucer Bureau’ a small UFO organization based in Connecticut, USA and he also edited a publication known as the ‘Space Review’ which was committed to the dissemination of news about UFOs. In truth, the organization had only a small membership and the publication circulated amongst hundreds rather than thousands, but that its members and readers valued it was in little doubt. The publication itself advocated that flying saucers were spacecraft of extraterrestrial origin.
Then, in the October 1953 edition of ‘Space Review’, there were two major announcements. The first was headed ‘Late Bulletin’ and stated "A source which the IFSB considers very reliable has informed us that the investigation of the flying saucer mystery and the solution is approaching final stages. This same source to whom we had referred data, which had come into our possession, suggested that it was not the proper method and time to publish the data in Space Review."
The second announcement read "Statement of Importance: The mystery of the flying saucers is no longer a mystery. The source is already known, but any information about this is being withheld by order from a higher source. We would like to print the full story in Space Review, but because of the nature of the information we are very sorry that we have been advised in the negative." The statement ended in the sentence "We advise those engaged in saucer work to please be very cautious."
These announcements were of little significance in themselves. What gained them wider attention was the fact that immediately after publishing this October 1953 issue, Bender suspended further publication of the magazine and closed the IFSB down without any further explanation.

Bender might have known "what the flying saucers" were, but he later revealed in a local newspaper interview that he was keeping his knowledge a secret following a visit by three men who apparently confirmed he was right about his UFO theory, but put him in sufficient fear to immediately close down his organization and cease publication of the journal. It has been argued that the story of being visited by three strangers and being ‘warned off’ was a front to close a publication that was losing money, however the fact that Bender had been "scared to death" and "actually couldn’t eat for a couple of days" was verified by his friends and associates.
However, in 1963, a full decade after his visit from the three strangers, Bender was seemingly prepared to reveal more of his story in a largely unreadable book entitled ‘Flying Saucers and the Three Men in Black.’ The book was scant on facts however intriguingly described extraterrestrial spacecraft that had bases in Antarctica. This was apparently the truth Bender was terrorized into not revealing. Bender also provided images of the saucers he was aware of. Yet again we see a drawing of his UFO with the three bubbles underneath, reminiscent of the Haunebu II alongside a cigar shaped object, of which more later.
Ernst Zundel, a German scientist turned author who had entered the US under Operation Paperclip at the end of the war and who worked at Wright Field (later Wright Patterson AFB where the alleged Roswell debris was housed), also made claims about the nature of the activity in Antarctica. In the 1970s Zundel wrote a book ‘UFOs: Nazi Secret Weapons?’ in which he claimed that UFOs were secret Nazi weapons developed during the Second World War, and some of them had been shipped out towards the end of the war and hidden at the poles. Publication of the book coincided with a tidal wave of renewed interest in all things spiritual, and Zundel was invited on to countless talk shows to share his views on spaceships, free energies, electromagnetism, emergent technologies and some of the positive contributions made by the Germans under the Third Reich in these fields (26).

Zundel was actually only really interested in promoting his holocaust theory, described in his book ‘Did Six Million Really Die?’ however found that his Nazi and ‘Hollow Earth’ ideas proved a greater attraction to television producers. Zundel explains: "I realised that North Americans were not interested in being educated. They want to be entertained. The book was for fun. With a picture of the Fuhrer on the cover and flying saucers coming out of Antarctica it was a chance to get on radio and TV talk shows. For about 15 minutes of an hour program I’d talk about that esoteric stuff. Then I would start talking about all those Jewish scientists in concentration camps, working on these secret weapons. And that was my chance to talk about what I wanted to talk about." (27)
The idea however, gripped the popular imagination and took on a life of its own. Zundel’s publishing company, ‘Samisdat’, started to make a name for itself by issuing newsletters and books on the subject. An expedition to Antarctica itself was even proposed to seek out ‘Hitler’s UFO bases’ there. (See advert, above to the left.) Yet such claims would have died out had they not been based on at least some real events. That something strange was happening around the foreboding continent took an interesting turn in the 1960s when the Argentine Navy was charged with the official investigation into strange sightings in the sky. A 1965 official report prepared by Captain Sanchez Moreno of the Naval Air Station Comandante Espora in Bahia Blanca stated: "Between 1950 and 1965, personnel of Argentina’s Navy alone made 22 sightings of unidentified flying objects that were not airplanes, satellites, weather balloons or any type of known (aerial) vehicles. These 22 cases served as precedents for intensifying that investigation of the subject by the Navy (20)." Following a series of sightings at Argentine and Chilean meteorological stations on Deception Island, Antarctica, in June and July 1965, Captain Engineer Omar Pagani disclosed at a press conference that "the unidentified flying objects do exist. Their presence in Argentine airspace is proven. Their nature and origin are unknown and no judgment is made about them." (21)

More details of these UFO sightings were given in a report in the Brazilian newspaper ‘O Estado de Sao Paulo’ in its 8th July 1965 edition. "For the first time in history, an official communiqué has been published by a government about the flying saucers. It is a document from the Argentine Navy, based on the statements of a large number of Argentine, Chilean and British sailors stationed in the naval base in Antarctica. The communiqué declared that the personnel of Deception Island (left) naval base saw, at nineteen hours forty minutes on 3 July, a flying object of lenticular shape, with a solid appearance and a colouring in which red and green prevailed and, for a few moments, yellow. The machine was flying in a zig-zag fashion, and in a generally western direction, but it changed course several times and changed speed, having an inclination of about forty-five degrees above the horizon. The craft also remained stationary for about twenty minutes at a height of approximately 5,000 meters, producing no sound. The communiqué states moreover that the prevailing meteorological conditions when the phenomenon was observed can be considered excellent for the region in question and the time of year. The sky was clear and quite a lot of stars were visible. The Secretariat of the Argentine Navy also states in its communiqué that the occurrence was witnessed by scientists of the three naval bases and that the facts described by these people agree completely." (22)
In March 1950 Commodore Augusto Vars Orrego of the Chilean Navy shot still pictures and 8mm movie footage of a very large cigar shaped flying object that hovered over and maneuvered about in the frigid skies above the Chilean Antarctic. Orrego stated "during the bright Antarctic night, we saw flying saucers, one above the other, turning at tremendous speeds. We have photographs to prove what we saw (23)."
There have been other Chilean sightings. Then during January 1956 an event was witnessed by a group of Chilean scientists who had been flown by helicopter to Robertson Island in the Wendell Sea to study geology, fauna and other features. This experience was the subject of a later article entitled ‘A Cigar-Shaped UFO over Antarctica.’ "At the beginning of January 1956, during a period of stormy weather, the party suddenly became aware of something which, in other circumstances, could have been very grave for them. This was that their radio had mysteriously ceased to function. This was not too worrying a disaster in so much as it was firmly settled that the helicopter would return to take them off again on January 20." One of the scientists, a doctor, was in the habit of getting up in the night to observe anything of meteorological interest, but another of the group, a professor, did not like to be disturbed. However on the night of 8th January 1956, the Doctor decided to wake the professor. He "pointed upwards, almost overhead. Still in a bad temper through being disturbed, [the professor] looked as directed, and beheld two ‘metallic’ cigar-shaped objects in verticular positions, perfectly still and silent, and flashing vividly the reflected rays of the sun." Soon after 7.00am, two other members of the party, an assistant and a medical orderly joined the two men. The group watched the two craft. "At about 9.00am object No. 1 (the nearest to the zenith) suddenly assumed a horizontal posture and shot away like a flash towards the west. It had now lost its metallic brightness and had taken on the whole gamut of visible colours of the spectrum, from infrared to ultra-violet. "Without slowing down it performed an incredible acute-angle change of direction, shot off across another section of the sky and then did another sharp turn as before. These vertiginous manoeuvres, the zig-zagging, abrupt stopping, instantaneous accelerating, went on for some time right overhead, the object always following tangential trajectories in respect to the Earth and all in the most absolute silence. "The demonstration lasted about five minutes. Then the object returned and took up position beside its companion in almost the same area of the sky as before, but now it was the turn of No. 2 to show its paces and do a weird zigzagging dance. Shooting off towards the east, it performed a series of ten dispointed bursts of flight, broken by brusque changes of direction, and marked by the same colour changes when accelerating or stopping, and so on. After about three minutes of this, object No. 2 returned and took up its station near its companion, and reassumed its original solid and metallic appearance. "The scientists had with them two Geiger-Miller counters of high sensitivity, one of the auditory and the other of the flash-type. When the two objects had finished their dance and reassumed their stations in the sky, someone discovered that the flash-type Geiger counter now showed that radioactivity around them had suddenly increased 40 times – enough to kill any organism subjected long enough to it. The discovery greatly increased the anxiety felt by the four men … "Although they had no telescopic lens, they did however have cameras with them, and they took numerous photographs of the objects, both in colour and black and white. We are not told in the report what became of these photographs." (24).
Five years later there was another documented account of a UFO sighting over Antarctica by Rubens Junqueira Villela, a meteorologist and the first Brazilian scientist to participate in an expedition to the white continent, now a veteran of eleven expeditions to Antarctica (two with the US Navy, eight with the Brazilian Antarctic Programme and another on the sailing ship Rapa Nui). Whilst on board the US Navy icebreaker Glacier (below) which had set sail from New Zealand at the end of January 1961, Villela claims that he witnessed a UFO event in the skies over Antarctica which he immediately recorded in his diary, even including the emotions felt by all those involved. During 16th March 1961 and after a fierce storm had forced the expedition to retreat to Admiralty Bay in the King George Isles, "a strange light suddenly crossed the sky, and everyone started to shout. "‘It’s a missile!’ said one excited Marine. ‘No, it’s a meteor,’ barked another member of the crew. The excitement was wide-spread and growing. Trying to describe the light which appeared over Almirantado Bay wasn’t easy … I wrote in my diary: ‘Positively the colours, the configuration and contours of the object, as a bodied [sic] light, with geometric forms, did not seem to be from this world, and I did not know what could possibly reproduce it." "The object was multi-coloured and had a luminous body –oval-shaped. It left a long tube-like orange/red trail. Suddenly, it split into two pieces, as if it had exploded. Each part shone even more intensively, with white, blue and red colours projecting ‘V’ shaped rays behind it. Quite quickly they moved away and could be seen 200 meters above the ground … Throughout the sighting no noise was heard by any of the witnesses."

The US Navy officially registered the incident as "a meteor or some other natural luminous phenomenon" according to the report submitted by the Glacier’s captain, Captain Porter.
As a trained meteorologist, Villela easily dismissed the official line. "How could they mistake a meteor with an object carrying antennae, completely symmetrical and followed by a tail without any sight of atmospheric disturbance?" (25) "The renowned skeptic and self-styled debunker, Phillip Klaus, believes this episode is a classic example of ‘plasma’, however the late meteorologist, James McDonald argued that the highly structured nature of the object and the low cloud overcast present at about 1500 feet were not compatible with Klaus’s hypothesis. The South Atlantic area was also host to another sighting on 16th January 1958 when the Brazilian naval vessel Almirante Salddanha was escorting a team of scientists to a weather station on Trindade Island. As the ship approached the island (or rather an outcrop of rock) a UFO reportedly swooped past the ship, circled the island, then flew off in front of dozens of witnesses. One of these witnesses, the expedition photographer, took a number of photographs of the object, and later the film was handed over to the military by the Captain. After analysis, the Brazilian government released the film stating that they were unable to account for the images. Whatever was going on in the Antarctic region, it certainly wasn’t happening in isolation.
(C) VIOLATIONS 1999
References

(1) Rose, Lisle, ‘Assault on Eternity’ p35, Naval Institute Press, Maryland, 1980. (2) Ibid p 35. (3) Ibid p 35. (4) Ibid pp 35-36 (5) ‘Antarctica’, p267 Reader’s Digest, Capricorn Press, London, 1985 (6) Ibid p.267 (7) Rose, Lisle, ‘Assault on Eternity’ p.250, Naval Institute Press, Maryland, 1980. (8) ‘Antarctica’, p264 Reader’s Digest, Capricorn Press, London, 1985 (9) Headland, R.K., ‘Chronological List of Antarctic Expeditions and Related Historical Events’ p.300 Cambridge University Press 1989. (10) Headland, R.K., ‘Chronological List of Antarctic Expeditions and Related Historical Events’ p.301 Cambridge University Press 1989. (11) Ibid. p. 301 (12) Ibid. p. 303 (13) Ibid. p. 303 (14) Ibid. p. 305 Christof Friedrich "Secret Nazi Polar Expeditions" Rose, Lisle, ‘Assault on Eternity’ p165, Naval Institute Press, Maryland, 1980. Ibid pp 166-167 Ibid p175 Ibid p177 Good p264. Good p264. From Informe Oficial O.V.N.I., Summary S# A.02778-DTO, OVNI, Captain Sanchez Moreno, Naval Air Station Comandante Espora, published in 1979 by Major (Ret.) Colman VonKevickz, ICUFON, 35-40 75th Street, Suite 4G, Jackson Heights, New York, NY 11372. ‘O Estado de Sao Paulo’ 8th July 1965 reproduced in an article by Dan Lloyd, ‘Things are hotting up in the Arctic’ Flying Saucer review, Vol. 11, No. 5. September-October 1965.) Arnold, Kenneth and Palmer, Ray, ‘The Coming of the Saucers’ p. 132 privately published by the authors at Boise, Idaho and Amherst, Wisconsin, 1952. Creighton, Gordon W., ‘A Cigar-Shaped UFO over Antarctica’ Flying Saucer Review, Vol. 14, No. 2, March-April 1968. Rubens Junqueira Villela, ‘UFOs in Antarctica’ Translated by Ricky Seraphico and republished in UFO Magazine November/December 1998. First published in ‘Revista UFO Brasil’, May 1998. Original title ‘Discos Voadores Na Antarctica.’ See also US Congress, House Committee on Science and Astronautics, Symposium on Unidentified Flying Objects, Hearings. Ninetieth Congress, Second Session 29th July 1968, Washington DC. US Government Printing Office, 1968. (26) Hoffman, M., ‘The Great Holocaust Trial’ P 18, Institute for Historical Review, Torrance, California, 1985 (27) Miele, Frank, ‘Giving the Devil His Due’