Le ragazze arrivarono con Alain circa quaranta minuti più tardi, si tolsero le giacche umide e si acclimatarono a poco a poco. Offrimmo loro un calice di champagne e le invitammo ad accomodarsi. Sophie si era messa una gonna, probabilmente l’unica che si era portata appresso ed una blusa arancione troppo abbondante, forse appartenente alla sorella. Un paio di ballerine rosse completavano il patchwork. Si era anche data una bella passata di rossetto e un ombretto azzurro troppo pesante. Era...goffa, come una non abituata a vestirsi per una serata. La preferivo decisamente in versione sportiva. Anne indossava un paio di pantoloni neri lucidi e una maglia bianca a manica lunga. Un rosso cupo colorava anche le sue labbra.
La conversazione non decollava, Anne era praticamente muta, Sophie evidentemente un po’ imbarazzata, fuori dal solito ambiente. Forse avevamo un po’ esagerato con la messa in scena, qua si rischiava di finire a fare i “bagalun del luster”. La maison Vanonì già era notevole. Un luminosissimo appartamento al terzo e penultimo piano di una piccola palazzina di otto unità abitative complessive. Uno splendido giardino a macchia mediterranea, impreziosito da una piccola piscina ed una terrazza che si affacciava sul blu del mare di Cannes Ouest. Noi poi avevamo tirato fuori tutto l’armamentario, posateria in argento, calici in cristallo, vini pregiati.
L’antipasto venne accolto bene, Anne e Sophie si complimentarono, solite ovvietà sui maschietti che non cucinano, gli Italiani poi, e via così. Era Sophie più che altro a tenere viva la conversazione. Laureata in Legge alla Sorbona stava seguendo il suo praticantato presso un notaio di Saint Nazaire. Anne lavorava in una banca d’affari, elaborando modelli matematici, in Lussemburgo. L’atmosfera cominciava ad essere più rilassata e le ragazze parvero sciogliersi un po’. Raccontarono della loro famiglia, in Bretagna, dei loro cavalli e delle vacanze. Aspettando il pesce, ci alzammo da tavola e Alain approfittò per mostrare il resto della casa, seguito da due sorelle molto ammirate. La prima bottiglia era finita. Le ragazze però continuavano a mantenere le distanze, più a loro agio ma molto molto abbottonate, non davano nessun segnale di disponibilità ad un approccio più fisico. Niente dita che si accarezzano i capelli, niente protensione del corpo verso l’interlocutore, niete ricerca del contatto fisico. Sorrisi misurati, gestualità composta, distanze spaziali rigorosamente mantenute.
Servii il pesce io stesso, avvolto in un buffo grembiule blu da oste trentino, che, guarda caso, riportava l’effigie di una mela golden giallissima e la scritta “I ♥ Marlene”. Le ragazze, intanto si offrirono di ritirare i piatti sporchi ed Alain serviva altro vino. L’atmosfera era un pochino più conviviale, qualche risatina in più alle battute di Alain che chiaccherava amabilmente in Francese. Io ero un po’ tagliato fuori, causa totale ignoranza della lingua, per cui la situazione intorno al tavolo era quella di due persone che conversavano ora amabilmente e di due commensali che portavano cibo e vino alla bocca, scambiandosi qualche rara frase in Inglese.
Giunti al dessert, una mousse al cioccolato, Alain e Sophie erano decisamente sciolti, avevano avvicinato le sedie e si erano inoltrati in una qualche discussione intorno alla realtà del degrado di alcuni quartieri cittadini di Cannes. Io ed Anne arrancavamo intorno a discorsi sulle reciproche professioni e al pessimo clima del Lussemburgo. Alain si offrì di preparare il caffè, aiutato da Sophie, io ritiravo piatti e posate da infilare in lavatrice. Anne volle uscire in terrazza e io la seguii. Il cielo era ancora nuvoloso ma la pioggia era cessata ed anche il vento si era calmato. Anne fece qualche commento sulla splendida vista che si godeva dalla terrazza, io ancora qualche banalità sul tempo piovoso. Disse che in effetti faceva un po’ freschino. Me ne accorsi anch’io dalla forma evidente dei suoi capezzoli le cui forme adesso trasparivano evidenti sotto la maglia leggera di cotone bianco. Non mi stupii che non portasse il reggiseno, con una prima taglia scarsa probabilmente non ne aveva bisogno. Le offrii il mio maglioncino di cotone che le poggiai sulle spalle. I suoi capelli avevano una fragranza di cocco e menta, un po’ stucchevole. Mi ringraziò con un sorriso. La osservavo meglio adesso, notando le leggere efelidi sul naso un po’ tozzo e il sedere davvero piatto e basso, gli occhi grigi un po’ spenti, con uno sguardo un po’... bovino, diremmo noi, anche se forse questa impressione era più dovuta alla leggera sporgenza degli stessi. Era decisamente insignificante, nemmeno particolarmente simpatica. Mi chiedevo... no, senza supponenza o narcisismo eccessivo, mi chiedevo, così, spassionatamente, come mai queste ragazze non provassero nemmeno un briciolo di attrazione fisica nei nostri confronti. Alain ed io eravamo abituati alle attenzioni delle ragazze, anche di quelle più carine. A volte consapevolmente o meno, approfittavamo di questa condizione privilegiata e finivamo per avere di noi stessi un giudizio che tendeva a sopravvalutarci. D’altro canto, a onor del vero, eravamo giovani uomini atletici, bon vivant, brillanti pure; insomma persone alle quali non mancavano mai occasioni galanti e un invidiabile entourage di amicizie femminili. Mi chiedevo come queste due sorelle, nell’insieme abbastanza insignificanti e sciatte, non fossero, anche loro, desiderose di approfondire la nostra conoscenza, di approfittare di una simile fortuna, l’avere due ragazzi niente male che da giorni stavano loro appresso con evidenti intenzioni di intrecciare una relazione estiva.
Alain versò il caffè fumante in deliziose tazzine di Limoges. La conversazione si spostò su argomenti più privati, legami passati, aspirazioni personali e professionali, progetti per il prossimo futuro. Saltò finalmente fuori che nessuna delle due era al momento fidanzata ma che lo erano state in passato e che quindi, almeno secondo Alain e me, nulla ostava a qualche approccio più audace. Ancora chiacchere, chiacchere, seduti sul divano stile impero a righe azzurre e oro. Un album di Phil Collins fu d’aiuto ad accorciare le distanze, Alain prese la palla al balzo e sulle note di “In the air tonight” allacciò la vita di Sophie, trascinandola in un lento cheek-to-cheek al centro della sala. Erano un po’ buffi, il gigante e la bambina, più che un cheek-to-cheek era un cheek-to-stomach, ma nel complesso non era uno spettacolo del tutto improponibile. Altri brani da diversi CD si alternavano nella modalità shuffle del lettore Bang&Olufsen a parete. Il salone era pieno di melodie lente e luci soffuse. Offrii un Calvados ad Anne, che declinò e quindi la invitai a mia volta a ballare. Decisi che a quel punto mi sarei giocato le mie carte, tipo alla “o la va o la spacca”. Erano già le 23:00, la serata volgeva alla conclusione. La abbracciai anch’io in un altro lentone, “Careless Whisper” degli Wham, ma la situazione mi pareva paradossale. Non ballavo un lento dal tempo delle medie con colonna sonora dei tempi delle medie e la cosa mi sembrava alquanto sforzata. Alain e Sophie, intanto erano passati a stuzzicarsi a vicenda, lei gli dava dei colpetti nelle costole ogni volta che lui le faceva la mano morta, posandogliela sul sedere, risate, battute, finte proteste, adesso basta, no dai vieni qua. Le cose stavano prendendo una piega favorevole.
Anne mi si appoggiò letteralmente addosso, piegò la testa sulla mia spalla e allacciò le sue braccia intorno al mio collo. Io le tenevo le mani sui fianchi, ma francamente mi sembrava di reggere un sacco di biancheria. Alain e Sophie intanto ruzzolarono rincorrendosi verso la camera da letto grande, tirandosi cuscinate reciprocamente, risate e grida. Io rimasi allacciato ad Anne, un po’ incerto sul da farsi, vista la sua totale passività e il suo mutismo.
Dalla sala avevo una visuale parziale della camera da letto padronale, la metà finale del letto e la parete della cabina armadio. Ruotando con Anne avvinghiati in una specie di ballo del mattone ci giungevano dalla porta della camera, lasciata aperta, immagini flash a distanza di circa quindici secondi l’una dall’altra, il tempo impiegato per compiere un intero giro di lento.
Alain senza camicia, Sophie in reggiseno davanti a lui, Alain seduto sulla sponda del letto con lei in braccio, le lingue intrecciate. La schiena e il fianco di Sophie senza più reggiseno, Alain in piedi si toglie i pantaloni, Sophie perde la gonna. Alain in piedi con la verga tesa, Sophie senza mutandine. La schiena e il sedere di Alain e Sophie seduta sul letto con la bocca strapiena del suo pene. Il letto vuoto. Alain sopra Sophie. Sophie sopra Alain. Il viso deformato da smorfie e il mezzo busto di Sophie a carponi scosso dai colpi di verga di Alain che la penetrava da dietro. Gemiti ed ansimi di lei e turpiloqui di lui.
L’erezione mi arrivò improvvisa ed impetuosa. Mi stavo eccitando a vedere Sophie posseduta in quel modo quasi animalesco, scossa dai colpi incalzanti della verga di Alain. Non c’era proporzione nelle rispettive dimensioni, Sophie era davvero uno scricciolino a confronto del gigante Alain ed anche questo mi eccitava. Il suo pistone di carne non le lasciava tregua, godeva e soffriva, almeno a giudicare dalle sue espressioni facciali stravolte.
Cercai la bocca di Anne, ormai incurante delle mie elucubrazioni estetiche circa il suo aspetto poco attraente. Me la porse con gli occhi chiusi, passiva. Ruotai la lingua nel suo palato senza sapore, senza essere corrisposto. La sua bocca restava morbida, passiva, non partecipante. La sua lingua accoglieva la mia ma senza iniziativa, spostandosi, più che altro, al passaggio della mia. Infilai una mano sotto la sua maglietta, cercandole il capezzolo, strizzandolo. La guidai sul divano, senza sforzo. Le sfilai la maglia, senza incontrare resistenze e la faci sdraiare. Giaceva, con gli occhi chiusi e le mani lungo i fianchi. Le fui sopra, liberandomi della camicia a mia volta. Ancora provai a baciarla, più appassionatamente, ruotandole la lingua in bocca, accarezzandole il seno, la pancia, le spalle. Nessuna reazione. Sembrava totalmente passiva, completamente non reattiva. Il lettore CD, giunto alla fine del programma era adesso muto, dalla stanza da letto giungevano solo i gemiti di piacere e dolore di Sophie e i “godi troia” di Alain che ancora la stava penetrando, instancabile, da dietro. Sfilai i pantaloni ad Anne, lasciandola con un paio di culotte nere. La liberai anche di quelle. Anne non abbandonò la sua posizione, supina, con gli occhi chiusi, le membra inerti. L’impressione di avere a che fare con un sacco di biancheria, andava aumentando. Ancora provai a baciarla, a leccarle e mordicchiarle i grossi capezzoli. Nessuna reazione. Mi avventai allora con la bocca sul suo sesso, divaricandole le gambe leggermente, esplorando con la lingua le sue cavità. Mi accolsero un odore acre, come di ammoniaca e di chiuso ed un sapore acido, decisamente poco gradevole. Coraggiosamente continuai a titillarle il clitoride a colpi di lingua e di pollice, nel tentativo di svegliarla dal suo apparente torpore, di renderla un po’ più partecipe del momento. Alain venne finalmente dentro una Sophie esausta, almeno così mi parve, a giudicare dall’urlo tribale che giunse dalla camera. Anne non dava segni di reazione ed io stavo soffocando. Mi liberai dei pantaloni e dei boxer elasticizzati, lasciando libero il mio membro eretto. Feci sedere Anne sul divano, appoggiata allo schienale, avvicinandole alla bocca il glande scoperto. Non fece un gesto, un movimento. Stava ancora seduta, muta, con gli occhi chiusi. Adesso cominciavo a stancarmi. Le spinsi il glande tra le labbra, rudemente, schiudendole la bocca. Ancora mi accolse una bocca morbida ma totalmente passiva. Nessuna iniziativa da parte sua. Vedevo Alain supino, sdraiato sul letto, intento anche lui a farselo succhiare da una Sophie che invece, stava dando prova di grande iniziativa. Le spinsi il pene in bocca. Niente, occhi chiusi e braccia lungo i fianchi, le mani sulle cosce. Allora, reggendole il viso con le mani, la scopai in bocca, letteralmente. Sentivo il mio glande che le urtava il palato, affondavo senza ritegno i colpi giù fino in fondo all’epiglottite. L’unica reazione di Anne fu stringere a pugno le mani che teneva in grembo. Sophie si era impalata sulla verga di Alain, ancora steso sul letto. Vedevo le sue tettine sobbalzare mentre lo cavalcava, il viso arrossato, i capelli più scompigliati del solito. La visione mi eccitò ulteriormente. Venni nella bocca di Anne dopo qualche istante. Rivoli di sperma le scendevano dagli angoli della bocca quando estrassi la verga bagnata. Evidentemente non era una fan dell’ingoio. La sua totale passività mi stava innervosendo. La girai di tergo. Il suo sedere bianco davanti al mio pene eretto. Notavo ancor di più le sue forme non forme. Mancava di fianchi, la schiena scendeva dritta e le diventava subito sedere. Un sedere piatto e basso. Il giro coscia eccessivamente abbondante, i polpacci grossolani, le caviglie sgraziate. Non so cosa mi prese. Forse volevo scuoterla dalla sua passività o forse ero indispettito dalla sua sciatteria. Le allargai le natiche. Puntai il mio glande ancora umido di sperma e saliva verso il suo ano. Senza altra lubrificazione lo spinsi deciso all’interno. Il suo sfintere si dilatò, Anne emise un grido sommesso “No! Ah, ah, Arrêt...”. Il mio palo di carne, ben lungi dal seguire l’ordine, le penetrò il retto per i suoi diciassette centimetri di lunghezza, fino alla radice. Poi si arrestò. Sentivo le contrazioni dei muscoli rettali di Anne, che si adattavano alla ingombrante presenza dell’intruso. Rimasi così per una ventina di secondi, godendomi questa stimolazione involontaria offertami dal culo di Anne. Poi, eccitato, cominciai a penetrala con violenza. Il mio scroto sbatteva, al ritmo di un colpo ogni due secondi, sul suo sesso, aumentando la mia eccitazione, già vicina al culmine. Anne adesso si lamentava piano, con la faccia poggiata su un cuscino, le dita che stringevano la sponda del divano. Sospirava e gemeva frasi incomprensibili, ma non accennava minimamente a voler cambiare posizione, nè a divincolarsi. Continuai così a penetrarla ritmicamente da tergo, con la verga che adesso le scivolava agevolmente, su è giù per il retto. Distinguevo nettamente, tra le chiappe che continuavo a tenerle divaricate, l’anello rosa dello sfintere che serrava il mio pene. Le venni dentro, spingendole nuovamente il mio pene fino in fondo, lasciando che le contrazioni della mia eiaculazione venissero assecondate da quelle dei suoi muscoli rettali. Fu un momento quasi estatico. Sentivo gli spasmi del suo culo spremere il mio seme fino all’ultima goccia. Rimasi dentro di lei, immobile, appoggiandomi sulla sua schiena, stremato. Estrassi la verga dal suo ano. Sembrava sporca, di una sostanza appiccicaticcia e densa. Pensai con panico al sangue e mi maledissi cento volte per la pigrizia di non aver indossato almeno un preservativo. Ma l’odore inconfondibile di gabinetto sporco non lasciava dubbi in merito alla natura della secrezione. Anne mi aveva sporcato di merda, la sua merda. Ero spiazzato e disgustato, nei rari rapporti anali nei quali ero stato coinvolto, non mi era mai successo nulla di simile. Anne conservava la sua posizione prona, con la faccia sul cuscino e le unghie piantate nel rivestimento del divano. Non so cosa mi prese, forse la rabbia. La feci rialzare, posizionandomi con il pene, ancora sporco di sperma e di merda davanti alla sua bocca. Le parlavo in Italiano oramai, incurante del fatto che comprendesse o meno le mie parole.
- Che cazzo hai fatto, eh? Guarda? Tu l’hai sporcato e adesso tu lo pulisci, hai capito?
- ...
- Leccalo, puttana, pulisci.
- ...
Le infilai il pene tra le labbra, ma come feci per spingerglielo più in fondo, Anne emise un grido strozzato e corse in bagno. Il rumore inconfondibile di due conati ravvicinati, seguiti da un terzo mi fece capire dove fosse andata a finire una cena così speciale.
Alain e Sophie, nudi, si affacciarono dalla porta della camera. Si accesero le luci.
- Oh, Billi, tutto bene?
- Si, dai poi ti spiego. Fammi andare a lavare.
L’odore sgradevole che ancora aleggiava nell’aria e la vista del mio pene sporco, non lasciavano dubbi sulle vicende. Alain dapprima incredulo e anche un po’ in apprensione, adesso rideva, rideva come un matto, piegato in due. Sophie corse in bagno dalla sorella.
- Ridi, ridi. Vai a vedere il divano, poi vedi come ridi, pistola.
La conclusione della serata fu veramente surreale. Dopo che tutti ci fummo rinfrescati e calmati un po’, Alain offrì tisana ai frutti di bosco, miele provenzale e biscotti allo zenzero in cucina. L’orologio segnava le 24:45. La conversazione riprese più o meno dal punto in cui si era interrotta, prima delle danze e di tutto il resto, senza più falsi imbarazzi. Alain riaccompagnò a casa le ragazze. Sophie ed Anne mi congedarono calorosamente sulla soglia di casa, mentre le aiutavo a infilare le giacche, ormai asciutte, ringraziandomi per la cena deliziosa e la splendida serata. Giuro.
Alain, come sempre, fece la sua sintesi, che giudico perfetta, della serata, qualche giorno dopo. Le due cose memorabili furono la cena che avevo imbandito e il conto mostruoso presentatoci dalla Teinturerie Castelli, in seguito ad un tentato intervento di pulizia delle fodere del divano a domicilio (con enorme imbarazzo da parte nostra) ed allla conseguente sostituzione totale delle stesse, visto il fallimento del tentativo. Non incontrammo mai più nella ridente Cannes, nè Anne, nè Sophie.
La conversazione non decollava, Anne era praticamente muta, Sophie evidentemente un po’ imbarazzata, fuori dal solito ambiente. Forse avevamo un po’ esagerato con la messa in scena, qua si rischiava di finire a fare i “bagalun del luster”. La maison Vanonì già era notevole. Un luminosissimo appartamento al terzo e penultimo piano di una piccola palazzina di otto unità abitative complessive. Uno splendido giardino a macchia mediterranea, impreziosito da una piccola piscina ed una terrazza che si affacciava sul blu del mare di Cannes Ouest. Noi poi avevamo tirato fuori tutto l’armamentario, posateria in argento, calici in cristallo, vini pregiati.
L’antipasto venne accolto bene, Anne e Sophie si complimentarono, solite ovvietà sui maschietti che non cucinano, gli Italiani poi, e via così. Era Sophie più che altro a tenere viva la conversazione. Laureata in Legge alla Sorbona stava seguendo il suo praticantato presso un notaio di Saint Nazaire. Anne lavorava in una banca d’affari, elaborando modelli matematici, in Lussemburgo. L’atmosfera cominciava ad essere più rilassata e le ragazze parvero sciogliersi un po’. Raccontarono della loro famiglia, in Bretagna, dei loro cavalli e delle vacanze. Aspettando il pesce, ci alzammo da tavola e Alain approfittò per mostrare il resto della casa, seguito da due sorelle molto ammirate. La prima bottiglia era finita. Le ragazze però continuavano a mantenere le distanze, più a loro agio ma molto molto abbottonate, non davano nessun segnale di disponibilità ad un approccio più fisico. Niente dita che si accarezzano i capelli, niente protensione del corpo verso l’interlocutore, niete ricerca del contatto fisico. Sorrisi misurati, gestualità composta, distanze spaziali rigorosamente mantenute.
Servii il pesce io stesso, avvolto in un buffo grembiule blu da oste trentino, che, guarda caso, riportava l’effigie di una mela golden giallissima e la scritta “I ♥ Marlene”. Le ragazze, intanto si offrirono di ritirare i piatti sporchi ed Alain serviva altro vino. L’atmosfera era un pochino più conviviale, qualche risatina in più alle battute di Alain che chiaccherava amabilmente in Francese. Io ero un po’ tagliato fuori, causa totale ignoranza della lingua, per cui la situazione intorno al tavolo era quella di due persone che conversavano ora amabilmente e di due commensali che portavano cibo e vino alla bocca, scambiandosi qualche rara frase in Inglese.
Giunti al dessert, una mousse al cioccolato, Alain e Sophie erano decisamente sciolti, avevano avvicinato le sedie e si erano inoltrati in una qualche discussione intorno alla realtà del degrado di alcuni quartieri cittadini di Cannes. Io ed Anne arrancavamo intorno a discorsi sulle reciproche professioni e al pessimo clima del Lussemburgo. Alain si offrì di preparare il caffè, aiutato da Sophie, io ritiravo piatti e posate da infilare in lavatrice. Anne volle uscire in terrazza e io la seguii. Il cielo era ancora nuvoloso ma la pioggia era cessata ed anche il vento si era calmato. Anne fece qualche commento sulla splendida vista che si godeva dalla terrazza, io ancora qualche banalità sul tempo piovoso. Disse che in effetti faceva un po’ freschino. Me ne accorsi anch’io dalla forma evidente dei suoi capezzoli le cui forme adesso trasparivano evidenti sotto la maglia leggera di cotone bianco. Non mi stupii che non portasse il reggiseno, con una prima taglia scarsa probabilmente non ne aveva bisogno. Le offrii il mio maglioncino di cotone che le poggiai sulle spalle. I suoi capelli avevano una fragranza di cocco e menta, un po’ stucchevole. Mi ringraziò con un sorriso. La osservavo meglio adesso, notando le leggere efelidi sul naso un po’ tozzo e il sedere davvero piatto e basso, gli occhi grigi un po’ spenti, con uno sguardo un po’... bovino, diremmo noi, anche se forse questa impressione era più dovuta alla leggera sporgenza degli stessi. Era decisamente insignificante, nemmeno particolarmente simpatica. Mi chiedevo... no, senza supponenza o narcisismo eccessivo, mi chiedevo, così, spassionatamente, come mai queste ragazze non provassero nemmeno un briciolo di attrazione fisica nei nostri confronti. Alain ed io eravamo abituati alle attenzioni delle ragazze, anche di quelle più carine. A volte consapevolmente o meno, approfittavamo di questa condizione privilegiata e finivamo per avere di noi stessi un giudizio che tendeva a sopravvalutarci. D’altro canto, a onor del vero, eravamo giovani uomini atletici, bon vivant, brillanti pure; insomma persone alle quali non mancavano mai occasioni galanti e un invidiabile entourage di amicizie femminili. Mi chiedevo come queste due sorelle, nell’insieme abbastanza insignificanti e sciatte, non fossero, anche loro, desiderose di approfondire la nostra conoscenza, di approfittare di una simile fortuna, l’avere due ragazzi niente male che da giorni stavano loro appresso con evidenti intenzioni di intrecciare una relazione estiva.
Alain versò il caffè fumante in deliziose tazzine di Limoges. La conversazione si spostò su argomenti più privati, legami passati, aspirazioni personali e professionali, progetti per il prossimo futuro. Saltò finalmente fuori che nessuna delle due era al momento fidanzata ma che lo erano state in passato e che quindi, almeno secondo Alain e me, nulla ostava a qualche approccio più audace. Ancora chiacchere, chiacchere, seduti sul divano stile impero a righe azzurre e oro. Un album di Phil Collins fu d’aiuto ad accorciare le distanze, Alain prese la palla al balzo e sulle note di “In the air tonight” allacciò la vita di Sophie, trascinandola in un lento cheek-to-cheek al centro della sala. Erano un po’ buffi, il gigante e la bambina, più che un cheek-to-cheek era un cheek-to-stomach, ma nel complesso non era uno spettacolo del tutto improponibile. Altri brani da diversi CD si alternavano nella modalità shuffle del lettore Bang&Olufsen a parete. Il salone era pieno di melodie lente e luci soffuse. Offrii un Calvados ad Anne, che declinò e quindi la invitai a mia volta a ballare. Decisi che a quel punto mi sarei giocato le mie carte, tipo alla “o la va o la spacca”. Erano già le 23:00, la serata volgeva alla conclusione. La abbracciai anch’io in un altro lentone, “Careless Whisper” degli Wham, ma la situazione mi pareva paradossale. Non ballavo un lento dal tempo delle medie con colonna sonora dei tempi delle medie e la cosa mi sembrava alquanto sforzata. Alain e Sophie, intanto erano passati a stuzzicarsi a vicenda, lei gli dava dei colpetti nelle costole ogni volta che lui le faceva la mano morta, posandogliela sul sedere, risate, battute, finte proteste, adesso basta, no dai vieni qua. Le cose stavano prendendo una piega favorevole.
Anne mi si appoggiò letteralmente addosso, piegò la testa sulla mia spalla e allacciò le sue braccia intorno al mio collo. Io le tenevo le mani sui fianchi, ma francamente mi sembrava di reggere un sacco di biancheria. Alain e Sophie intanto ruzzolarono rincorrendosi verso la camera da letto grande, tirandosi cuscinate reciprocamente, risate e grida. Io rimasi allacciato ad Anne, un po’ incerto sul da farsi, vista la sua totale passività e il suo mutismo.
Dalla sala avevo una visuale parziale della camera da letto padronale, la metà finale del letto e la parete della cabina armadio. Ruotando con Anne avvinghiati in una specie di ballo del mattone ci giungevano dalla porta della camera, lasciata aperta, immagini flash a distanza di circa quindici secondi l’una dall’altra, il tempo impiegato per compiere un intero giro di lento.
Alain senza camicia, Sophie in reggiseno davanti a lui, Alain seduto sulla sponda del letto con lei in braccio, le lingue intrecciate. La schiena e il fianco di Sophie senza più reggiseno, Alain in piedi si toglie i pantaloni, Sophie perde la gonna. Alain in piedi con la verga tesa, Sophie senza mutandine. La schiena e il sedere di Alain e Sophie seduta sul letto con la bocca strapiena del suo pene. Il letto vuoto. Alain sopra Sophie. Sophie sopra Alain. Il viso deformato da smorfie e il mezzo busto di Sophie a carponi scosso dai colpi di verga di Alain che la penetrava da dietro. Gemiti ed ansimi di lei e turpiloqui di lui.
L’erezione mi arrivò improvvisa ed impetuosa. Mi stavo eccitando a vedere Sophie posseduta in quel modo quasi animalesco, scossa dai colpi incalzanti della verga di Alain. Non c’era proporzione nelle rispettive dimensioni, Sophie era davvero uno scricciolino a confronto del gigante Alain ed anche questo mi eccitava. Il suo pistone di carne non le lasciava tregua, godeva e soffriva, almeno a giudicare dalle sue espressioni facciali stravolte.
Cercai la bocca di Anne, ormai incurante delle mie elucubrazioni estetiche circa il suo aspetto poco attraente. Me la porse con gli occhi chiusi, passiva. Ruotai la lingua nel suo palato senza sapore, senza essere corrisposto. La sua bocca restava morbida, passiva, non partecipante. La sua lingua accoglieva la mia ma senza iniziativa, spostandosi, più che altro, al passaggio della mia. Infilai una mano sotto la sua maglietta, cercandole il capezzolo, strizzandolo. La guidai sul divano, senza sforzo. Le sfilai la maglia, senza incontrare resistenze e la faci sdraiare. Giaceva, con gli occhi chiusi e le mani lungo i fianchi. Le fui sopra, liberandomi della camicia a mia volta. Ancora provai a baciarla, più appassionatamente, ruotandole la lingua in bocca, accarezzandole il seno, la pancia, le spalle. Nessuna reazione. Sembrava totalmente passiva, completamente non reattiva. Il lettore CD, giunto alla fine del programma era adesso muto, dalla stanza da letto giungevano solo i gemiti di piacere e dolore di Sophie e i “godi troia” di Alain che ancora la stava penetrando, instancabile, da dietro. Sfilai i pantaloni ad Anne, lasciandola con un paio di culotte nere. La liberai anche di quelle. Anne non abbandonò la sua posizione, supina, con gli occhi chiusi, le membra inerti. L’impressione di avere a che fare con un sacco di biancheria, andava aumentando. Ancora provai a baciarla, a leccarle e mordicchiarle i grossi capezzoli. Nessuna reazione. Mi avventai allora con la bocca sul suo sesso, divaricandole le gambe leggermente, esplorando con la lingua le sue cavità. Mi accolsero un odore acre, come di ammoniaca e di chiuso ed un sapore acido, decisamente poco gradevole. Coraggiosamente continuai a titillarle il clitoride a colpi di lingua e di pollice, nel tentativo di svegliarla dal suo apparente torpore, di renderla un po’ più partecipe del momento. Alain venne finalmente dentro una Sophie esausta, almeno così mi parve, a giudicare dall’urlo tribale che giunse dalla camera. Anne non dava segni di reazione ed io stavo soffocando. Mi liberai dei pantaloni e dei boxer elasticizzati, lasciando libero il mio membro eretto. Feci sedere Anne sul divano, appoggiata allo schienale, avvicinandole alla bocca il glande scoperto. Non fece un gesto, un movimento. Stava ancora seduta, muta, con gli occhi chiusi. Adesso cominciavo a stancarmi. Le spinsi il glande tra le labbra, rudemente, schiudendole la bocca. Ancora mi accolse una bocca morbida ma totalmente passiva. Nessuna iniziativa da parte sua. Vedevo Alain supino, sdraiato sul letto, intento anche lui a farselo succhiare da una Sophie che invece, stava dando prova di grande iniziativa. Le spinsi il pene in bocca. Niente, occhi chiusi e braccia lungo i fianchi, le mani sulle cosce. Allora, reggendole il viso con le mani, la scopai in bocca, letteralmente. Sentivo il mio glande che le urtava il palato, affondavo senza ritegno i colpi giù fino in fondo all’epiglottite. L’unica reazione di Anne fu stringere a pugno le mani che teneva in grembo. Sophie si era impalata sulla verga di Alain, ancora steso sul letto. Vedevo le sue tettine sobbalzare mentre lo cavalcava, il viso arrossato, i capelli più scompigliati del solito. La visione mi eccitò ulteriormente. Venni nella bocca di Anne dopo qualche istante. Rivoli di sperma le scendevano dagli angoli della bocca quando estrassi la verga bagnata. Evidentemente non era una fan dell’ingoio. La sua totale passività mi stava innervosendo. La girai di tergo. Il suo sedere bianco davanti al mio pene eretto. Notavo ancor di più le sue forme non forme. Mancava di fianchi, la schiena scendeva dritta e le diventava subito sedere. Un sedere piatto e basso. Il giro coscia eccessivamente abbondante, i polpacci grossolani, le caviglie sgraziate. Non so cosa mi prese. Forse volevo scuoterla dalla sua passività o forse ero indispettito dalla sua sciatteria. Le allargai le natiche. Puntai il mio glande ancora umido di sperma e saliva verso il suo ano. Senza altra lubrificazione lo spinsi deciso all’interno. Il suo sfintere si dilatò, Anne emise un grido sommesso “No! Ah, ah, Arrêt...”. Il mio palo di carne, ben lungi dal seguire l’ordine, le penetrò il retto per i suoi diciassette centimetri di lunghezza, fino alla radice. Poi si arrestò. Sentivo le contrazioni dei muscoli rettali di Anne, che si adattavano alla ingombrante presenza dell’intruso. Rimasi così per una ventina di secondi, godendomi questa stimolazione involontaria offertami dal culo di Anne. Poi, eccitato, cominciai a penetrala con violenza. Il mio scroto sbatteva, al ritmo di un colpo ogni due secondi, sul suo sesso, aumentando la mia eccitazione, già vicina al culmine. Anne adesso si lamentava piano, con la faccia poggiata su un cuscino, le dita che stringevano la sponda del divano. Sospirava e gemeva frasi incomprensibili, ma non accennava minimamente a voler cambiare posizione, nè a divincolarsi. Continuai così a penetrarla ritmicamente da tergo, con la verga che adesso le scivolava agevolmente, su è giù per il retto. Distinguevo nettamente, tra le chiappe che continuavo a tenerle divaricate, l’anello rosa dello sfintere che serrava il mio pene. Le venni dentro, spingendole nuovamente il mio pene fino in fondo, lasciando che le contrazioni della mia eiaculazione venissero assecondate da quelle dei suoi muscoli rettali. Fu un momento quasi estatico. Sentivo gli spasmi del suo culo spremere il mio seme fino all’ultima goccia. Rimasi dentro di lei, immobile, appoggiandomi sulla sua schiena, stremato. Estrassi la verga dal suo ano. Sembrava sporca, di una sostanza appiccicaticcia e densa. Pensai con panico al sangue e mi maledissi cento volte per la pigrizia di non aver indossato almeno un preservativo. Ma l’odore inconfondibile di gabinetto sporco non lasciava dubbi in merito alla natura della secrezione. Anne mi aveva sporcato di merda, la sua merda. Ero spiazzato e disgustato, nei rari rapporti anali nei quali ero stato coinvolto, non mi era mai successo nulla di simile. Anne conservava la sua posizione prona, con la faccia sul cuscino e le unghie piantate nel rivestimento del divano. Non so cosa mi prese, forse la rabbia. La feci rialzare, posizionandomi con il pene, ancora sporco di sperma e di merda davanti alla sua bocca. Le parlavo in Italiano oramai, incurante del fatto che comprendesse o meno le mie parole.
- Che cazzo hai fatto, eh? Guarda? Tu l’hai sporcato e adesso tu lo pulisci, hai capito?
- ...
- Leccalo, puttana, pulisci.
- ...
Le infilai il pene tra le labbra, ma come feci per spingerglielo più in fondo, Anne emise un grido strozzato e corse in bagno. Il rumore inconfondibile di due conati ravvicinati, seguiti da un terzo mi fece capire dove fosse andata a finire una cena così speciale.
Alain e Sophie, nudi, si affacciarono dalla porta della camera. Si accesero le luci.
- Oh, Billi, tutto bene?
- Si, dai poi ti spiego. Fammi andare a lavare.
L’odore sgradevole che ancora aleggiava nell’aria e la vista del mio pene sporco, non lasciavano dubbi sulle vicende. Alain dapprima incredulo e anche un po’ in apprensione, adesso rideva, rideva come un matto, piegato in due. Sophie corse in bagno dalla sorella.
- Ridi, ridi. Vai a vedere il divano, poi vedi come ridi, pistola.
La conclusione della serata fu veramente surreale. Dopo che tutti ci fummo rinfrescati e calmati un po’, Alain offrì tisana ai frutti di bosco, miele provenzale e biscotti allo zenzero in cucina. L’orologio segnava le 24:45. La conversazione riprese più o meno dal punto in cui si era interrotta, prima delle danze e di tutto il resto, senza più falsi imbarazzi. Alain riaccompagnò a casa le ragazze. Sophie ed Anne mi congedarono calorosamente sulla soglia di casa, mentre le aiutavo a infilare le giacche, ormai asciutte, ringraziandomi per la cena deliziosa e la splendida serata. Giuro.
Alain, come sempre, fece la sua sintesi, che giudico perfetta, della serata, qualche giorno dopo. Le due cose memorabili furono la cena che avevo imbandito e il conto mostruoso presentatoci dalla Teinturerie Castelli, in seguito ad un tentato intervento di pulizia delle fodere del divano a domicilio (con enorme imbarazzo da parte nostra) ed allla conseguente sostituzione totale delle stesse, visto il fallimento del tentativo. Non incontrammo mai più nella ridente Cannes, nè Anne, nè Sophie.
To be continued
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