Thursday, September 01, 2005


A private Cannes - part two

Alain aveva avuto ragione. Trascorremmo i due giorni successivi senza lasciare casa, rimbalzando tra i lettini della terrazza ombreggiata e quelli assolati a bordo piscina, praticamente deserta. No news good news. Di questa storia non parlammo più molto, scivolò via, insieme ad altre, nell’armadio dei ricordi.

La giornata si preannunciava bella, il velo di foschia all’orizzonte si sarebbe sollevato di lì a poco, aiutato dalla brezza che soffiava da levante. Lasciato il Collège International alle mie spalle, percorrevo adesso a piedi il Boulevard Du Midì, diretto verso il centro.

I ricordi richiamarono però alla mente un altro episodio di questo tipo in cui Alain si ritrovò coinvolto. Risaliva addirittura al periodo in cui eravamo alle scuole medie, ma forse la causa scatenante, in quella occasione, fui proprio io.

Durante l’estate, all’epoca, frequentavamo dei corsi di vela sul lago di Lecco, a Dervio. I miei genitori, che avevano casa lì e un Comet 910 ormeggiato al porticciolo del Centro Vela, d’abitudine ci portavano per un paio di settimane con loro. La mattina anche noi eravamo impegnati al Centro, ad armeggiare con i Caravelle, le barche scuola. Armare le barche, arrotolare e srotolare cime, issare le vele, virate e strambate, tutto era abbastanza divertente e ci teneva occupati. I pomeriggi erano un po’ più lunghi e noiosi, cincischiavamo con la lettura di Topolino, Tex, il Comandante Mark, con quarche partitella a ping-pong o inventandoci gare di rally con le macchinine radiocomandate nel grande giardino che circondava la casa.

I miei poi, cercavano di ravvivarci le giornate, organizzando escursioni nei boschi vicini, qualche barbeque o consentendoci, la sera, di guardare un film dell’orrore. Quell’estate, era forse il 1983 o ’84, ricordo che chiesi il permesso di invitare due nostre compagne di classe, Roberta e Nadia, a trascorrere qualche giorno con noi. I miei genitori ne furono ben lieti, immagino pensando che la presenza delle nostre amichette ci avrebbe reso un po’ meno scalmanati nei nostri giochi e avrebbe allontanato i momenti di noia. Inoltre, conoscevano bene i genitori di Nadia e Roberta. La casa poi, era vecchia ma enorme, anche se veniva utilizzata solo per qualche settimana d’estate, visto che l’impianto di riscaldamento non era funzionante.

Eravamo solo ragazzini di dodici o tredici anni, ma ricordo abbastanza distintamente i complessi rapporti che intercorrevano tra noi quattro. Eravamo legati da una profonda amicizia, nata già sui banchi delle scuole elementari. Nadia addirittura, la conoscevo dall’asilo. Alain ed io provammo da subito, stranamente, una simpatia particolare per queste due bambine. Inoltre, abitando nello stesso quartiere, andavamo sempre a scuola insieme. Non rari erano stati gli episodi in cui le avevamo difese dai dispetti di compagni più grandi, arrivando, a volte, anche allo scontro fisico. Alain, supportato da una statura già imponente e da una corporatura massiccia, aveva facilmente ragione anche di bambini di un paio di anni più grandi. Io, meno prestante, avevo sviluppato tecniche d’attacco e difesa più bastarde, mirando alle parti vitali, occhi naso, inguine, che avevo capito essere le più vulnerabili. Nelle rare risse bambinesche in cui ci trovammo coinvolti, anche se sconfitti, lasciavamo sempre il segno. Con il trascorrere degli anni, divenimmo più cauti e riflessivi, molto poco propensi a gettarci nella mischia, a venire alle mani, cosa non infrequente ancora alle scuole superiori. Ci era capitato, purtroppo, in un paio di occasioni, di esserci misurati anche con gentaglia dal coltello e dalla catena facile, senza fortunatamente subire danni. Avevamo dunque imparato il vecchio adagio: per quanto tu sia cattivo, c’è sempre qualcuno più cattivo di te; per quanto tu sia furbo, c’è sempre qualcuno che lo è più di te.

Io da un po’ mi ero preso una cotta seria per Roberta, che tenevo segreta, perchè vedevo lei inequivocabilmente presa da Alain. Nadia invece si era presa una cotta per me, troppo distratto da Roberta per dedicarle tutte quelle attenzioni che si sarebbe meritata. Tutti noi però, stranamente, nonostante l’età, eravamo molto attenti alle sensibilità altrui, cauti nel non ferirci reciprocamente. Roberta ed Alain facevano di tutto per nascondere il loro flirt, soprattutto a me, quasi avessero intuito i miei sentimenti. Roberta cercava sempre di dedicare le medesime attenzioni ad entrambi e di non farsi cogliere in flagrante da me quando si scambiava effusioni con Alain, cosa che, poichè capitava abbastanza frequentemente, era però difficile nascondermi completamente.

Roberta e Nadia arrivarono a Dervio in un piovoso pomeriggio di metà Agosto, accompagnate dal papà di Nadia, l’Ingegner Verzi, collega di mio padre.

Uscimmo tutti sul portico, mentre l’auto si infilava nel vialetto di accesso.

Nadia scese per prima dall’auto, una Lancia Trevi c color oro. Era davvero carina, aveva tagliato i capelli corti alle spalle, sfilati. Gli occhi chiari, una maglietta bianca a righe rosse, un paio di pantaloni celesti alla pescatora. Mi abbracciò forte nel salutarmi e mi scoccò due baci sulle guance un po’ troppo vicino agli angoli della bocca.

- Ciao Alessandro!
- Ciao Nadia! Ben arrivate.

Salutò affettuosamente Alain ed i miei genitori, Franco e Stefania. Anche Roberta era scesa dall’auto. Altri saluti e baci. Mentre Stefano Verzi e le ragazze salutavano i miei, Alain ed io ci facemmo carico di portare di sopra le borse delle nostre amiche.

Stefano Verzi declinò l’invito a fermarsi per la cena e ripartì poco dopo. Mamma Stefania aveva provveduto ad offrire alle ragazze un succo di frutta ed una Coca Cola.

- Bene ragazzi, perchè non mostrate a Nadia a Roberta la loro stanza?
- Va bene, mamma. Vi abbiamo portato su le borse, dai, venite.

La stanza era dotata di un letto a castello e di una finestra che dava sul giardino. In fondo si intravedeva il lago, che in quel momento, sembrava una lama nera. Un vecchio scrittoio, due vecchie sedie spaiate e un armadio di noce tarlato completavano l’arredamento.

- Che bello! C’è un odore di... antico.
- E’ l’umidità!
- Potete mettere le vostre cose qui, almeno quelle che volete appendere.
- Oh, grazie.
- Facciamo così: sistematevi tranquille, se avete bisogno del bagno è lì a destra, poi raggiungeteci giù, facciamo merenda insieme.

Intorno al tavolone della cucina, a pian terreno, bevevamo tea freddo e mangiavamo pane e Nutella. Fuori pioveva ancora. Nadia aveva trascorso le vacanze a Fano e ci stava raccontando le sue avventure estive. Roberta era stata in montagna a S. Martino di Castrozza ma non era entusiasta.

Sembrava cresciuta, Roberta, una bella abbronzatura scura da sole di montagna, i capelli mossi neri, gli occhi scuri e le labbra piene. Le rotondità acerbe di un seno che si intuiva sotto la felpina in cotone Best Company. Le ragazze vollero vedere la nostra stanza che non era sicuramente in una condizione ideale per essere mostrata. Anche la nostra stanza aveva un letto a castello. Dormivamo nei sacchi a pelo, io sopra, Alain sotto. Fumetti sparsi ovonque, calzini, magliette, rotoli di cimette, scarpe, attrezzi, carte da gioco.

- Oddio che disastro!
- E, c’è un po’ di casino.
- Bella anche questa stanza. E’ davvero una bella casa, Alessandro.
- Mah, è vecchia...
- Dai sedetevi. Sono contento che siate qua.
- Anche noi.

Alain disse che andava a farsi un giro in spiaggetta. La spiaggetta era, in effetti, una strisciolina di arenile da cui si accedeva attraverso un cancello in fondo al giardino.

- Chi viene?
- Ma dai Alain, piove!
- Io vengo, dai, bello sotto la pioggia!
- Io resto, non mi va di bagnarmi tutta.

Avrei voluto seguirli, Alain e Roberta, sotto la pioggia, mano nella mano che si allontanavano verso la spiaggetta. Nadia però aveva declinato l’invito e non mi sembrò carino lasciarla da sola. Sentii mia madre, al piano di sotto, ricordare loro di infilarsi gli impermeabili.

- Poi dovrei parlarti, Ale.
- Anche adesso, se vuoi. Di cosa Nadine?
- Ti ho scritto una lettera al mare...
- Dai?!
- Ce l’ho qui, la vuoi leggere?
- Certo!

Nadia quel pomeriggio mi parlò del suo amore per me. Con le parole dolci, un po’ ingenue, di ragazzini che stavano diventando adolescenti. Senza schermi, seria seria. Le sue labbra sottili si appoggiarono alle mie, poi le lingue timide, si intrecciarono. La pioggia sui vetri. Dall’AIWA usciva un pezzo degli Asia. Non so quanto tempo passammo così abbracciati, a scambiarci baci dolci.

Uno dei nostri giochi preferiti era quello della bottiglia che giocavamo nella versione “obbligo o verità”. In pratica il sorteggiato poteva scegliere tra il rispondere a domande imbarazzanti o pagare un pegno, che poteva essere il compiere una qualunque impresa di una certa difficoltà o che potesse arrecargli qualche imbarazzo.

Molte delle penitenze, alla fine, consistevano nel baciarsi per un numero di secondi stabilito dagli altri, con la lingua o senza, ballare un lento, togliersi un indumento. Alain ed io cominciammo a giocarci in quinta elementare, iniziati ad una festicciola di compleanno di Francesca Caramelli, una bambina famosa tra i maschietti per le sue tettine già sviluppate e la sua propensione alla limonata promiscua. Lo esportammo subito, appena imparato, e, alle medie, non c’era festa ormai in cui non venisse praticato.

Giocavamo nel grande soggiorno del primo piano, tra le poltrone di pelle verde stinto e le vecchie credenze con le maniglie di ottone, coperte di foto in bianco e nero, in cornici di argento annerito. Stavamo seduti su un vecchio tappeto caucasico, con i ritratti di austeri gentiluomini in frac e dame eleganti che ci scrutavano dai muri. Ogni tanto, nelle serate più fresche di fine agosto, accendevamo anche il camino. Regnava sempre una sorta di costante eccitazione durante questo gioco. Vedevo le gote delle ragazze arrossate, noi ragazzi più scarmigliati. C’era sempre un clima da carboneria, sempre all’erta, sempre con l’orecchio vigile, teso a evitare che i grandi ci sorprendessero.

- Nadia! Tocca a te!
- Noooo! Guarda punta Alain.
- No, no, qua! Tocca proprio a te.
- Cavolo!
- Obbligo o verità?
- Mmmm... verità.
- Allora.. una domanda. Chi la fa?
- ...
- Io ce l’ho. Nadia... tu ti tocchi?
- Cooosa?!
- Li, dai. Ti tocchi qualche volta?
- Ma sei scemo Alain?
- Guarda che devi dire la verità.
- Ma no, scusa.
- Cioè tu hai quella cosa in mezzo alle gambe e non te la sei mai toccata? Non sai come funziona? No, non ci crediamo. Vero Billi?
- Dai, Alain.
- Rispondi Nadia, dai, o si o no. La verità.
- Si
- Quando?
- E cosa senti, ti piace?
- Queste sono due domande, forse al prossimo turno. Adesso tocca a me far girare la bottiglia.

- Ale! Tocca a te. Obbligo o verità?
- Obbligo.
- Allora, vediamo un po che penitenza ti tocca...
- Ti devi togliere i bermuda.
- Dai, ma sotto ho solo le mutande.
- Giù i bermuda.
- Va a cagà.
- Giro io.
- Robi! E’ uscita la Robi.
- Obbligo o verità?
- Obbligo.
- Allora... Devi baciare con la lingua Billi per trenta secondi.
- Alain!
- No, no, lo fai. In piedi, dai, bacialo. Billi, alzati anche tu.

Roberta ed io eravamo in piedi al centro della stanza. Alain e Nadia ci guardavano.

- Dai bacio con la lingua, trenta secondi da quando dò il via.
- Vai.
- Adesso, via, 30, 29, 28...

In piedi al centro della stanza, in mutande, con gli occhi di Nadia ed Alain addosso, la lingua nella bocca morbida di Roberta, le mani sui suoi fianchi, il suo seno adolescente appoggiato sul mio petto. Il pene mi si inturgidì all’istante. Roberta se ne accorse per prima e fece per allontanarmi.

- 10, 9, 8, ...
- No non hai finito!!
- Dai finisci. 7,6,5,...
- Ale ma...
- Ah, ah, ah, Billi ti è diventato duro! Va che bel wurstel hai nelle mutande!
- Sei il solito pirla, Alain.

Ma la mia erezione era inequivocabile. Ripresi imbarazzato il mio posto seduto vicino a Nadia, che osservava attenta il mio gonfiore sotto gli slip di cotone blu. Non mi era mai capitato di avere una erezione così palese di fronte a una ragazza. E queste erano due ragazze. E mentre stavo baciando la Robi, quando neanche due giorni prima Nadia mi aveva detto tutte quelle cose dolci. Bella figura da cioccolataio.

- Perchè a te non ti diventa duro?
- Certo.
- Succede così a voi ragazzi?
- Si.
- E’ vero, l’ho letto su un libro. E’ una “erezione”. Succede quando vi eccitate, vero? Ti ho eccitato?
- Dai Robi!
- E’ vero. Quel coso lì entra nella nostra... “vagina” e poi esce un liquido...“seminale” e nascono i bimbi.
- Hai studiato, eh!?
- Ma tu l’hai mai visto?
- Io ho visto quello di mio fratello...
- Si ma duro, come quello di Billi, l’hai mai visto?
- No.
- Billi faglielo vedere.
- Dai Piantala! Questa è un altra penitenza, poi non oltrepassiamo il limite. E adesso invece tocca a Robi far girare la bottiglia.


Quel pomeriggio stavo esplorando il sotto-tetto insieme a Nadia. Eravamo rimasti noi due in casa, i miei erano usciti in barca, di ritorno per sera. Robi e Alain avevano deciso di fare un giro giù al camping, adiacente al Centro Vela, per una passeggiata ed una coca. Io avevo in mente già da un po’ di andare alla ricerca di vecchie cianfrusaglie nel sottotetto. Il posto si prestava alle esplorazioni, ricordava un po’ un set di Indiana Jones ed I Predatori dell’Arca Perduta, o il sotterraneo dei “Goonies”, avrei detto qualche anno più tardi. C’erano vecchi bauli rivestiti di cuoio borchiato, vecchie mappe geologiche, scatole impolverate con oggetti dimenticati da rispolverare. Ragnatele ovunque. Ogni anno, fin da bambino, mi infilavo là sotto, alla ricerca di nuovi tesori.

Non faticai a convincere Nadia ad accompagnarmi, vedevo come si prodigava per cercare sempre di creare situazioni in cui potessimo starcene un po’ appartati insieme. Forse anche per allontanarmi da Roberta. Anche lei aveva intuito qualcosa?

Una sera precedente avevo colto Alain e Roberta bisbigliare e baciarsi dietro una colonna del porticato. Provai un senso di disagio... di gelosia? Più tardi in camera Alain mi tampinò parecchio per conoscere la ragione del mio silenzio ostile.

- Billi, e dimmelo cos’hai.
- ...
- Hai litigato con Nadia?
- No
- Tua madre?
- No
- Tuo padre?
- No
- Ce l’hai con me?
- ...
- Cosa ti ho fatto?
- ... a te la Robi piace davvero?
- Oh cristo! Allora aveva ragione! E’ per questo? Sei geloso?
- Perchè te ne ha parlato?
- Mah, così, ha detto qualcosa, ma le ho dato della matta. Però, cazzo, non potevi dirmelo tu? Scusa, siamo o no amici?
- Non è sempre così facile...
- Va beh, ma a te non piace Nadia? Siete sempre lì appiccicati, ti sistema i capelli, la camicia, mi sembri rincretinito!
- Si, mi piace ma... Alain non lo so, quando vedo la Robi, mi scatta qualcosa...
- Eh, l’ho visto! C’avevi un tubo del 12 nella mutanda, l’altro giorno!
- Si, a parte quello, dai, cavolo, sei sempre terra terra!
- Ascolta Billi. Se ti piace la Robi a me non mi interessa. Diglelo e stacci tu. Non mi interessa, di donne ce n’è quante ne vuoi, io ho dodici anni, cacchio, tutta la vita davanti per corteggiare le fanciulle. Si la Robi ha un bel viso, due belle tettine, però tu sei il mio amico. Se ti piace, prenditela tu. Basta che sorridi, Billi, cazzo, basta che sorridi!
- Allora a te non interessa, non sei innamorato...
- Ma dai! Cavolo, stai con la Nadia, volevo divertirmi un po’ anch’io. Poi scusa, che facciamo? Anche la Robi poverina... vi reggiamo il moccolo in due?
- No, che c’entra...
- Prendila come viene, Billi, fai quello che ti senti, a me non devi spiegarmi niente. Cavolo, mi hai sempre aiutato, a scuola, con il casino dei miei, sei il mio amico, Billi. Figurati se vado a rovinare tutto per una ragazzina.
- Va beh, ma lei non la calcoli? Chi piace a lei? Cosa prova?
- Ascolta Billi, io posso solo tirarmi fuori dal casino, non portartela in ginocchio con i fiori in mano. Parlaci tu. Buonanotte.

Ma non smise di appartarsi con lei, come, d’altronde, non smisi io di farlo con Nadia. Con naturalezza, scegliemmo entrambi la via meno ripida e la più soddisfacente per tutti.

Aprii la botola di legno che conduceva al sottotetto. Era una portina di un metro e venti per un metro, e per attraversarla dovevamo metterci in gioncchio. Non ho mai compreso davvero come il sottotetto avesse potuto riempirsi in quel modo di colli anche così ingombranti. Forse l’accesso venne ridotto in seguito.

- Ce l’hai le candele?
- Si.
- Vieni, entriamo.

L’ambiente era polveroso e avvolto in una penombra scura. Dalle fessure, tra le travi che reggevano le tegole, filtravano lame di sole, che illuminavano il pulviscolo in sospensione. Faceva caldo ma l’odore di polvere, di umidità che si asciuga e di vecchio, non era poi così spiacevole.

- Vieni Nadia, stai attenta. Passami le candele che le accendiamo.
- Eccole.

Strofinai la testa di zolfo del fiammifero da camino su un asse del pavimento e accesi le due candele che avevamo fissato su due bottiglie vuote. La stanza si rischiarò. Il locale misurava una trentina di metri quadrati circa, la parte più alta della soffitta raggiungeva i due metri, le due campate del tetto spiovevano fino a lasciare ai lati una altezza di cinquanta centimetri circa. La stanza al centro era abbasta sgombra, ma le pareti erano veramente ingombre di oggetti di ogni tipo. Poggiammo una candela al centro della stanza e cominciammo l’esplorazione dalla parete alla nostra destra.

- Ale, stammi vicino, ho un po’ di paura.

Nadia mi stava stretta addosso, sentivo il profumo di mela verde dei suoi capelli e il suo respiro che sapeva di Brooklyin alla cannella.

- Ma va, stai tranquilla, qui non c’è niente di pericoloso. Forse qualche scorpioncino, ma basta che illumini prima di mettere le mani.
- Scorpioni!? Ma sei scemo a portarmi qui?!
- Non ti fanno niente. Vieni, guarda qui. In questo baule ci sono delle cose carine, mi ricordo dall’anno scorso.

Aprii un vecchio baule di legno. Conteneva dei vecchi plaid scozzesi, un cesto da pic-nic di vimini e dei candelabri in ottone. Scatole intarsiate in ebano e osso e altra mercanzia.

- Wow!
- Bello eh?! Te lo avevo detto che era una miniera di piccoli tesori.
- Cavolo! Bellissimo, guarda queste.

Una scatola che conteneva una manciata di pietre dure, aveva attratto la sua attenzione. Stendemmo a terra un plaid, solo un po’ meno impolverato del pavimento stesso. Ci sedemmo ad esaminare il cesto da pic-nic.

- Guarda Ale! Ci sono i piatti in ceramica! Sembrano quelli di mia nonna! Ed i bicchieri in vetro!
- Forse anche le posate in argento ed i tovaglioli di lino. Aspetta... eccole qui. Sarà di qualche antenato di nonna. Una volta i pic-nic erano una roba seria, mica come adesso con i piatti di plastica, i bicchieri di carta e i contenitori termici di Giò Style.
- Sarebbe bello organizzarne uno, giù in spiaggetta. Prepariamo le cose e le mangiamo là, apparecchiamo la tavola così! Bello, una cosa... di gran classe!
- Se vuoi lo portiamo giù e gli diamo una ripulita.
- Dai, perchè no.

Girammo un po’ tra scatoloni sigillati e bauli pieni di libri, alcuni vecchi ed altri più recenti. Album di foto, quadri, sculture di legno di foggia africana e altre in vetro soffiato, coloratissime e stilizzate, vecchi quaderni di scuola.

- Guarda questo! E’ un libro di velieri storici.
- Bello! A te piacciono molto le barche a vela vero?
- Abbastanza. E a te?
- Beh, non ci sono andata spesso. Un po’ i giorni scorsi con tuo papà e tua mamma... al mare un po’ in motoscafo.
- E ti sei divertita?
- Si, abbastanza. Mi porti con te un giorno?
- In barca?
- Si.
- Certo, se vuoi, ma anche io sto imparando, è il secondo anno che facciamo il corso. Non sono espertissimo. Poi abbiamo i Caravelle, sono delle chiatte, più che altro. Ci vorrebbe un bel catamarano...
- Fa niente, mi paicerebbe fare un giro, attraccare su una spiaggetta... io e te, tipo... l’hai visto Paradise?
- Nadia...

Le nostre bocche si cercavano, le lingue si intrecciavano ancora. Succedeva così, era una consuetudine, cominciata il giorno della lettera. Ogni volta che eravamo da soli cominciavamo a baciarci.

- Ale... ti devo chiedere una cosa...
- Cosa Nadine?
- Ma tu... io... quando baci me ti succede come quando baci la Robi?
- Nadia, ma che domanda è? Ti bacio perchè mi piaci, mica per pagare pegno o fare la penitenza di un gioco...
- No, lo so, cioè spero... io ti piaccio davvero?
- Ma si... certo.
- Cioè ti piaccio come la Robi?
- Nadine, ma cosa c’entra? Cosa ti viene in mente?
- A te piace la Robi, vero?
- Anche tu? Ma cosa vi siete messi in mente tutti quanti? Alain, tu...
- La Robi...
- Ascolta Nadine, tu mi piaci tanto, mi piacciono i tuoi occhi chiari, i tuoi capelli... mi piace stare insieme a te.
- Si, però la Robi ha già... cioè, sembra più grande, il seno... Quando mi baci ti faccio lo stesso effetto che ti fa lei?
- Scusa?!
- Hai capito, dai, ti faccio... “eccitare” anch’io? Come ti era successo l’altro giorno quando la baciavi?
- No! Cioè si, credo...ma cosa c’entra, è diverso... non è una penitenza di “obbligo o verità”
- Prova allora.
- Provo cosa?
- Baciami.

Le nostre lingue si intrecciarono nuovamente. Seduti sul plaid, appoggiati al vecchio baule, Nadia mi abbaracciava stretto e mi passava le dita sottili ed affusolate tra i capelli che portavo un po’ lunghi sul collo, mi carezzava il petto e ruotava decisa la lingua intorno alla mia. Ero pieno dei suoi profumi, la mela verde dei suoi capelli, la cannella del suo respiro, la fragranza quasi impercettibile di Gocce di Napoleon dierto le orecchie di cui le leccavo timidamente i lobi.
Le mia dita armeggiavano con i bottoni della sua camicetta di lino bianco. Riuscii a sfilargliela, lasciandola con un canottierina anch’essa bianca, sorretta da due spalline sottilissime.

- Ale... che fai?
- Beh, mi sa che sei riuscita ad “eccitarmi”...

Cercai di sfilarle anche la canottiera, Nadia si ritrasse.

- No.
- Perchè?
- Mi vergogno. Sono piatta, dai, non ho ancora il seno, non c’è niente lì sotto.
- Sei bellissima. Dai toglitela.

Mi sfilai anch’io la maglietta blu Op, stendendola sul baule, dove ero appoggiato. Nadia indugiò guardandomi. Ripresi a sfilarle la canottiera, questa volta senza incontrare resistenza. Mi sembrò bellissima. Due grossi capezzoli scuri spuntavano, appena lievemente protundenti, da un petto altrimenti piatto. La visione di quello spettacolo mi travolse. Mi chinai a succhiarli, a leccarli, estasiato. Mi facevano impazzire. Cento volte meglio delle grosse tette della grossa Francesca Caramelli, cento volte meglio delle tette gonfie fotografate su Gin Fizz o su Le Ore che il nostro compagno di classe Stewart collezionava e nascondeva dentro il sussidiario di Storia.

Alla luce tremula della candela Nadia ora mi sembrava una ninfa dei boschi, una creatura leggiadra, come quelle disegnate sul libro dei miti e delle leggende del Nord. Le nostre bocche ancora si univano, le accarezzavo le spalle, la schiena, il seno piccolissimo. La sua tensione iniziale sembrò addolcirsi, riprese ad accarezzarmi a sua volta i capelli ed il petto. Sentivo il mio giovane membro pulsare, costretto dagli slip e dal cotone pesante dei pantaloni multitasche Americanino. Accompagnai delicatamente una mano di Nadia sul mio sesso. Timidamente indugiò sulla protuberanza evidente.

- Allora ti eccito anch’io...
- Tanto
- Lo sai che non... non l’ho mai visto?
- Dai!?
- Beh, io non ho fratelli... i miei cuginetti sono ancora bambini...
- Già... e lo vorresti vedere?
- Beh... non so...
- ...
- Si...

Mi liberai dei pantaloni in un attimo, rimanendo con i soli slip in cotone, gonfi di eccitazione.

- Allora vuoi vederlo, davvero?
- Si
- Guardalo... dai.

Scostai l’elastico degli slip, lasciando libero il membro teso. Vedevo la curiosità di Nadia, il lieve imbarazzo e la sua eccitazione.

- Lo vuoi toccare?
- Non so... Ale...
- Dai toccalo, Nadine...

Le sue dita incerte mi sfiorarono, come in un tentativo di carezza. La guidai con la mia mano, facendoglielo invece impugnare, come lo tenevo io durante i momenti privati di autoerotismo chiuso in bagno.

- Così...piano
- Ale...
- Baciami Nadine, baciami e toccami così...

Ancora la mia lingua intorno alla sua, intorno ai suoi capezzoli, al suo collo, ai lobi delle sue orecchie. La sua mano impacciata che si muoveva a disagio sul mio pene. La accompagnai ancora, alla ricerca di un ritmo più deciso dei movimenti, poi la lasciai libera. Mi lasciai andare completamente, schizzando fiotti di seme caldo sui seni acerbi e sulla pancia, tenendole ben ferma stretta sotto la mia, la sua mano, che adesso sembrava voler ritrarre, quasi spaventata.

Fu stupendo, qusi un’estasi. Ho l’immagine nitida delle goccioline di seme che si rincorrevano scendendole dal petto verso l’ombelico, alla luce della fiamma. Nadia mi guardava con una espressione mista di spavento e confusione.

- Stai tranquilla, è tutto normale, Nadine... sei stata fantastica, lo sai?
- Allora è così... Sono tutta...bagnata, “appiccicosa”... ti è piaciuto?
- Tantissimo Nadine, vieni a baciarmi...

Ancora uniti in un bacio, le accarezzavo i seni e la pancia, con il deliberato intento di far assorbire alla sua pelle chiara il mio seme. Ci rivestimmo piano, pigri ed un po’ ammaccati per via delle posizioni scomode che avevamo assunto, e uscimmo dalla soffitta abbracciati, a pomeriggio inoltrato, portandoci dietro il cesto da pic-nic, dopo che, inutilmente, tra milioni di baci e carezze, avevo anche cercato di intrufolarmi con la mano nelle sue mutandine.

Credo che questo episodio abbia in qualche modo segnato in modo indelebile i miei gusti sessuali in materia di dimensioni del seno delle mie partners. Sarà un caso, forse, ma non ricordo di aver avuto mai una compagna con una taglia superiore alla terza. E anche nei miei rapporti successivi, in qualche modo, ho sempre cercato di ricreare quell’emozione visiva del mio seme che scende a rivoli tra i seni.

Ci eravamo appena seduti in cucina a sbocconcellare un Ciocorì quando Roberta fece irruzione, letteralmente, singhiozzando disperata. Nadia le fu subito accanto. Notai che era un po scompigliata, per la corsa forse, la maglietta con il collo a barchetta un po’ slabbrata, un segno rosso sotto la clavicola, sul decolleté.

- Che c’è che è successo?
- Che c’è Robi?
- Io.. Alain... no, vieni su che ti devo parlare...andiamo.

Mi lasciarono in cucina, solo, a domandarmi che accidenti fosse successo, ma il mio istinto mi annunciava nuvole nere che si addensavano all’orizzonte.

Venne fuori un mezzo casino. Anzi uno intero. L’unico che mantenne un certo equilbrio nella valutazione dei fatti e nel gestire la faccenda, fu mio padre Franco, il quale, sostenne che le cose si fanno comunque in due e che Alain, viste anche le recenti vicissitudini del divorzio dei suoi genitori, era probabilmente in un periodo di grande confusione. Mia madre Stefania, milanesissima, di estrazione borghese liberal, in gioventù tiepida militante femminista, bollò il povero Alain come un potenziale violento sciovinista, anche perchè molto amica della mamma di Roberta e con una conoscenza solo superficiale della famiglia sfasciata di Alain. Non lo rifiutò comunque, ma, da allora in poi, non perdeva occasione per impartigli lezioncine di etica, filosofia morale e norme di comportamento galante; si prodigava nel proporgli meticolosamente una regola di vita spiccia, mutuata un po’ a casaccio, da S. Francesco, Ghandi, Giovanni Della Casa e Simone De Beauvoir, con il piglio di una Margaret Thatcher.

Alain non parlò molto di questa storia, nemmeno con me. Riuscii a cavargli che si, aveva esagerato, ma che la Robi aveva esagerato anche lei. Si, le aveva strappato la maglietta per toccarle le tette, ma non capiva perchè fosse venuto fuori tutto quel pieno, e perchè lei si fosse così risentita, visto che lei da una settimana almeno, gli sparava due seghe al giorno, al mattino e alla sera. E che poi c’ero io e che, dopo quello che ci eravamo detti, si sentiva che in qualche modo doveva chiudere con la Robi.

Roberta invece, sostenne che Alain l’aveva quasi violentata. Mi raccontò tutto, una sera di fine Settembre, ancora tra le lacrime, sulla panchina sotto a casa sua. Si, stavano “quasi” insieme, a lei piaceva Alain, si avevano limonato, diverse volte. L’aveva anche toccato, così per curiosità, più che altro, una sola volta però. Quel giorno però sembrava impazzito, era anche arrogante e la stava già trattando male da quando erano usciti da casa mia. Non l’aveva neanche baciata e voleva farglielo toccare un’ altra volta. La voleva toccare lui, lì sotto anche. Lei gli aveva detto di piantarla, che non voleva, che non era il posto giusto, di smetterla, insomma. Lui era diventato violento, l’aveva buttata a terra, aveva cercato di metterglielo in mano e le aveva strappato la maglietta per toccarla lì sopra.

Qualcosa si era rotto. Cominciò la terza media. Roberta cominciò ad uscire con un Flavio sedicenne che aveva il Garelli Vip 4. Nadia la seguì in quella specie di compagnia dei “grandi” e noi le perdemmo di vista.

Alain ed io continuammo la nostra vita di amici e di studenti, io con risultati abbastanza brillanti ed un “ottimo” all’esame di stato, che mi fece guadagnare i banchi del Liceo Ginnasio Statale S******, lui con un “distinto”, in gran parte dovuto alla pazienza e perseveranza di mia madre Stefania, che lo sdoganò come new-entry al Liceo Scientifico Statale E******.

Tempus fugit. Faceva male prendere coscienza di quanto tempo era trascorso. Il motto per Alain, invece, l’avevo coniato io, stolen with pride, copiando quello della Fregata Sagittario, ed era: “non cohibetur sagitta”. Alain era così, irrefrenabile.
To be continued...

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