Friday, September 02, 2005


A private Cannes - part three

I giornali erano pieni dei funerali di Lady D. Il giorno prima anche la TV francese aveva trasmesso l’evento in diretta. Comprai il Corriere e il Guardian all’edicola vicino al Municipio e puntai verso L’Havana Room sulla Croisette, in cerca di un buon Cohiba siglo I. Consumai la mia solita colazione in una Brasserie, di fianco al ristorante Au Mal Assis, con i tavoli all’aperto di fronte al Vieux Port, la Marina Vecchia, occupando un tavolo accostato al muro della salita di Rue de la Rampe. Sorseggiavo spremuta di arancia, sfogliando i giornali.

La barca del Plongèe Club de Cannes, puntuale come sempre, stava lasciando il Quait Saint Pierre. Intravidi Patrick nella plancia di comando del Sylpa, con l’inconfondibile barba grigio-rossa, che manovrava. Sul ponte i subacquei cominciavano a montare le attrezzature o si attardavano in chiacchere, sul ponte e a poppa. L’anno precedente ero riuscito a trascinare Alain nel magico mondo delle immersioni subacquee.

Io avevo cominciato questa attività anni prima. Fu l’estate in cui Paola mi lasciò. Dopo più di tre anni di relazione. Fu una specie di shock, la fine del primo vero amore “adulto”. In un luglio, che ricordo assolatissimo, mi disse che era finita, che aveva bisogno dei suoi spazi, che doveva fare altre esperienze. Mi disse che l’aspettava l’Università, Facoltà di Architettura, un progetto di programma Erasmus, un appartamento in condivisione con le amiche. Aveva conosciuto un musicista, per giunta. E io troppo lontano, a Bologna, che arrancavo con gli esami del secondo anno di Agraria. Gli amici, le osterie, le gite fuori porta, una specie di tradimento incompleto con una ragazza di medicina e troppi, troppi fine settimana in cui non facevo ritorno a Milano. Non poteva funzionare. E infatti non funzionò. Ma l’abbandono fu devastante. Le vacanze, che avevamo progettato insieme, chiaramente saltarono, date le circostanze. Mi ritrovai, da solo, a metà Luglio a dovermi organizzare qualcosa per vincere la depressione e la noia di un agosto in città. Carola, della Clock Travel, mi propose qualche ultima occasione da prendere al volo. Scelsi un villaggio Venta Club sul Mar Rosso. Conobbi, già in volo, Beatrice con la quale non ebbi altre esperienze che quelle sott’acqua, malgrado i miei tentativi vani, più che altro portati avanti con la convinzione che “chiodo scaccia chiodo”. Però furono due settimane splendide, di colori, odori, deserto, un mare che sembrava un acquario, uscite in barca, motorate sulle dune, al termine delle quali mi ritrovai con due brevetti PADI, “open water” e “advanced”, una passione per la subacquea e il conto in banca quasi prosciugato.

La subacquea, in ogni caso, quell’anno, si rivelò anche strumento utile alle conquiste estive. Trascinai un Alain molto poco convinto sul Sylpa, la diving boat grigio acciaio, che fungeva anche da ufficio per il Plongée Club. Ci accolse Sylvie, la moglie di Patrick, che ci illustrò brevemente le attività. Io scelsi un pacchetto di immersioni ricreative mentre Alain, neofita totale, ebbe poca scelta e si sottopose al programma beginners della didattica francese, il Niveau 1. Le attività del Sylpa cominciavano alle nove e trenta del mattino, una immersione in mattinata, pranzo leggero e una immersione nel primo pomeriggio. Alle 15:30 si riattraccava in porto.

Patrick conduceva la barca su diversi diving spots, ogni giorno, Sylvie guidava uno dei gruppi degli escursionisti, quattro, cinque persone al massimo, René il secondo, Marc e Philippe, per quell’anno, il gruppo degli allievi dei corsi, divisi per livello. Gli escursionisti erano diversi quasi ogni giorno, per lo più subacquei abbastanza esperti, stufi del sightseeing, che si prendevano una pausa dai figli, mogli o mariti a spasso per Cannes. I gruppi degli allievi invece stavano insieme per almeno una settimana, la durata del corso.

Il mio gruppo di escursionisti si rivelò invece abbastanza stabile ed omogeneo. Era composto da due ex-sotto ufficiali della Marina Britannica, oramai a riposo, con una esperienza sconfinata in tema di immersioni. Era un piacere ascoltare i loro racconti di immersioni nelle acque in burrasca del canale della Manica, o nel golfo di Oman. Oramai entrambi oltre i sessantacinque, conservavano però fisici discretamente prestanti e facevano sfoggio di attrezzature tecniche veramente all’avanguardia. Una signora svizzera, preoccupantemente sovrappeso di una cinquantina di anni completava il gruppo base. Si aggiunsero saltuariamente, nei diversi giorni della settimana una coppia di ragazzi francesi in viaggio di nozze al “battesimo degli abissi”, un aitante ragazzone americano che fu un grado di pallonare dai venti metri, una coppia di belgi dove, giuro, lui sembrava Hercule Poirot.

Alain invece fu più fortunato e si ritrovò in gruppo con due ragazze, sorelle, più o meno nostre coetanee ed un padre di famiglia che, ogni mattina, raggiungeva il Sylpa con moglie e figlia, le quali lo salutavano sempre come se – povero! - non dovessero rivederlo più. Il gruppo del Niveau 2 era invece composto da abituée, molto in confidenza tra loro, ma molo chiusi verso gli estranei.

Le nostre attenzioni si rivolsero, come naturale, verso le due sorelline, Sophie la minore ed Anne, la maggiore. Le ragazze non erano una bellezza, va detto subito. Sophie raggiungeva a mala pena il metro e sessanta, aveva capelli color paglia stopposi e sempre aggrovigliati in una acconciatura informe, lineamenti taglienti e una peluria bionda ma evidente sopra il labbro superiore. Però gli occhi azzurri e grandi, i denti bianchi perfetti ed una silohuette da sportiva, la rendevano, in qualche maniera, sufficientemente attraente. Anne era la “donna senza forme”. Alain la chiamava così, in sua assenza. Alta un metro e settanta, capelli neri lisci a caschetto, carnagione bianchissima, sedere piatto e basso. Una prima taglia di reggiseno e una bocca morbida e piena erano le uniche due qualità degne per me di attenzione. Sophie era un piccolo terremoto, sfrontata ed impudente, capace di continuare una conversazione guardandoti dritto in faccia mentre si cambiava il costume bagnato, mostrandoti seni e sedere, entrambi degni nota senza vergogna, mentre si asciugava. Anne era l’esatto contrario, taciturna e schiva, a stento prendeva parte in una conversazione, rispondendo esclusivamente quando interpellata. Sembrava anche eccessivamente pudica, a giudicare dai neri costumi interi di foggia retrò che indossava sotto le mute. Fatto sta che fossero le uniche due ragazze abbordabili nella circostanza. Alain ed io ci scherzavamo sopra già dal primo giorno, io mi prendo la bionda e tu la mora, io la nana tu la donna senza forme, io la troietta e tu la suorina, e così via, a immaginarsi gli scenari possibili. Dopo i primi tre giorni, eravamo un pochino di più in confidenza e mettemmo in atto qualche approcio più galante, roba del tipo “vi va di venire a cena con noi”, “vi accompagnamo a casa noi”, molto soft. Le ragazze in realtà ci rimbalzavavano sistematicamente, rifiutandosi perfino di farsi accompagnare al misterioso bed & breakfast dove dicevano di essere alloggiate.

- Cazzo ne so, magari pensano che siamo due maniaci.
- Va beh, ma scusa, a me pare eccessivo, in vacanza, due tipi come noi... un ristorante, un pub, mica... mah, mi sa che queste due tipi come noi non li hanno mai beccati, te lo dico io.
- Forse è per questo che pare loro strano che ci interessiamo così...
- Eh, va beh... vivre la vie, santiddio! Carpe diem!
- Magari sono fidanzate, che ne so, queste bretoni magari sono un po’ come le nostre calabresi...
- Allora siamo a posto, a Tropea un anno ho beccato una... ciao, una pompa idrovora, giuro. Dentro non lo voleva prendere, ma ti giuro che non ho patito, mi ha ammazzato di pompini! Lo prendeva in bocca dovunque, una assatanata.
- Sei il solito, Alain, a sentire te, hai trombato mezza Europa!
- Oh, ti giuro!
- Va beh, senti un po’ me. Vediamo di invitarle a cena queste due, dai, mettiamo su un po’ di spettacolo pirotecnico, la terrazza, due candele, un po’ di musica, lo champagnino ghiacciato, dai, le solite puttanate da clichè che fanno effetto. Se no molliamo il colpo e non pensiamoci più. Se proprio vuoi fare il botto, mandiamole una macchina con l’autista...
- Ma si, non è quello, è che queste proprio sono di legno, non vedi? Non ci sentono da quell’orecchio. Boh.
- Magari non siamo il loro tipo. Magari sono lesbiche. Che ne sai!?
- Dai, domani vediamo. Io mi butto.

Arrancavamo con le borse dell’attrezzatura lungo il Boulevard du Midì, diretti alla Plage des Sports, dove contavamo di finire il pomeriggio con un bel bagno e un bel libro.

La vista dalla terrazza era meravigliosa. L’aperitivo al tramonto era diventato un rito, gin-tonic e stuzzichini, i mitici formaggini di Ceneri, olive e peperoni sott’olio, pizza a pezzi, scaldata nel micro. Adesso le Isles de Lerins si stagliavano scure contro un cielo striato di giallo, rosa, e decine di tonalità di viola. Si accendevano le prime stelle, insieme alle luci della città e di quelle degli yacht ormeggiati in baia. In forno rosolava un coniglio alle olive e timo. Immancabile, lo Chablis ghiacciato della riserva personale del babbo di Alain che veniva saccheggiato sistematicamente dalle casse in cantina.

- Billi tu dovevi aprire un ristorante.
- Si, prima o poi lo faccio davvero.
- Le immersioni non sono male. Mi sto divertendo, sai? Bella pensata.
- Sicuramente meglio che fare la muffa giù sui lettini, tanto poi oramai è risaputo, alla Plages Des Sports non si becca mai un kaiser.
- Si, su questo hai ragione, l’anno prossimo cambiamo.
- Ma piantala! Lo diciamo tutti gli anni. Ma vah, poi alla fine siamo comodi, è subito qui sotto, il Restaurant a la Plage poi non è male per niente, dai, il pesce è sempre freschissimo.
- Ti ricordo che sono già passate due settimane e quest’anno non abbiamo ancora pucciato il bisquit.
- E rilassati, che è? Devi timbrare il cartellino? Che serà serà.

La mattina successiva il tempo era bruttino, pioggerellina a tratti, vento teso dal mare e cappa di grigio plumbeo. Alain decise di tirare fuori la macchina, il tragitto a piedi, con le borse in spalla, fino al Vieux Port era improponibile. Trovammo un parcheggio a pagamento vicino al Le Mediteranée. Un breve tratto a piedi con il cappuccio della giacca calcato in testa. Salimmo a bordo del Sylpa.

Bonjour, bonjour, non è poi così bon questo jour, ma si va lo stesso? Si qui vicino, un insenatura un po’ riparata. Alain traduceva per me il francese di Patrik. Il gruppo escursionisti era ridotto a John e Roland, i due ex-sotto ufficiali britannici e al sottoscritto. Il gruppo di Alain erano solo Anne e Sophie. La zona di immersione era vicina all’isoletta di Saint Féréol. Oggi avremmo visitato un piccolo relitto a circa 25 metri di profondità, un motoscafo affondato per un urto contro uno scoglio.

L’immersione fu buona. Nonostante il mare increspato in superficie e la pioggia a tratti battente, sott’acqua tutto filò liscio. Anzi nel risalire dalla scaletta posteriore, martellato dalla pioggia e investito dal vento freddo mentre mi cambiavo il più rapidamente possibile, pensavo che sotto si stava decisamente meglio. Di comune accordo decidemmo di annullare la seconda immersione giornaliera e Patrick tornò dalla cambusa con un bel Vin De Pays rosato e fresco che restituì a tutti il buon umore.

Vedevo Alain parlottare fitto fitto con Anne e Sophie, mentre il Sylpa puntava verso la terra ferma. Io ascoltavo i racconti di Roland di una immersione nelle gelide acque della Normandia. Alle 11:45 sbarcammo al Porto Vecchio. Saluti rapidi, arrrivederci, ciao-ciao a domani.

- Allora Billi, vedi che le ho convinte, cena stasera da noi. Gliela ho messa giù come una roba tipo anticipo festeggiamenti della fine del corso, dice Sophie che alla fine della settimana partono.
- E bravo l’Alain. Peccato ‘sto tempo infame.
- Si c’è un po’ da organizzarsi, dai facciamo ancora in tempo a comprare qualcosa. Che suggerisci?
- Io starei con un bel branzino e una insalata. C’e da pensare a qualche antipastino. Che dici?

Depositammo le borse bagnate nel baule della macchina e in quattro falcate raggiungemmo il Marchè Forville, appena in tempo per uno shopping alimentare a passo di marcia. Il mercato era ancora affollatissimo, molti turisti, vista la giornata piovosa, riempivano le vie del centro, svuotando le spiaggie. Il banco del pesce ci rifornì di un loup de mer di quasi due chilogrammi. Comprammo olive verdi giganti in salamoia, erbe aromatiche, funghi cantarelli e frutta. Da Ceneri, in Rue Meynadier, ci rifornimmo di crottin de chévre e blue de montagne.

Nel tardo pomeriggio attaccai con i preparativi per la cena. Alain si occupò del solito saccheggio della cantina. Risalì dalla spedizione punitiva con una bottiglia di KRUG e due gioielli di Romanée-Conti, Richebourg Côte de Nuits 1991.

- Si ma tuo padre ci ammazza. Non gli possiamo svaligiare la cantina tutte le estati.
- Ma vah, la maggior parte di questa roba gliela regalano.
- Si ho capito, però... da sole quelle due bottiglie lì ti costano mezzo stipendio.
- Sai che gliene frega. Tanto lo sai, qui ci viene ogni tanto, si porta le stagiste o le nuove segretarie... il vecchio maiale.
- Oh degno figlio di cotanto padre!
- Buon sangue non mente! In alto i calici.

Il padre di Alain era sempre stato ai miei occhi un personaggio da film. Medico, specializzato in dermatologia, francese di origini italiane, sembrava veramente un attore. Alto come suo figlio, di corporatura robusta. Portava i capelli grigio argento tagliati corti. Sempre abbronzato ed elegantissimo, spigliato e divertente era una compagnia davvero piacevole. Non erano state infrequenti le occasioni in cui, da studenti liceali ed universitari, addirittura passavamo con lui i nostri venerdì o sabato sera. Spesso offriva a noi e alle nostre fidanzatine, l’aperitivo, facendoci sentire assolutamente a nostro agio anche di fronte alle nostre azzardate ordinazioni tipo vodka orange o gin tonic, cosa che, al mio di padre, avrebbe fatto rizzare i capelli in testa. Capitava anche che ci scorrazzasse tutti quanti a cena in posti impensabili per ragazzi che, come noi, al massimo, in quegli anni, spiluccavamo qualcosa da Burghy, o al bar Centrale. I ristoranti dove ci portava erano sempre di stralusso, servivano cibi la cui descrizione occupava righe e righe dei menù presentati in cartellette di cuoio anticato o velluto con intarsi dorati.

Era bellissimo farsi le vie centrali sulla sua Saab 900 cabrio blu. Le nostre ragazze erano sistematicamente affascinate da Francois Vanonì, con l’accento sulla i. Alain viveva il rapporto con il padre a momenti alterni. Da un lato faceva tutto il possibile per cercare di non assomigliarli, dall’altra in realtà ne aveva una ammirazione smisurata, come tutti noi. Era impossibile non amare un uomo così. Non ci riuscì invece sua moglie, la mamma di Alain, figlia di un’ottima famiglia di farmacisti brianzoli da generazioni, sposata giovane e bellissima. In quegli anni Alain trascorse molto tempo da noi. Mi ricordo che si fermava tante notti a dormire a casa nostra. I miei lo avevano un po’ adottato, durante le fasi più burrascose della separazione dei suoi genitori. Poi le cose si acquietarono ed Alain rimase a vivere con la mamma Giulia. Il padre fu comunque e continuava ad essere, una presenza rassicurante e stimolante per Alain. Sicuramente più che un padre un amico, a volte, addirittura, compagno di bisboccia. La madre di questo soprattutto si lamentava, di avere due ragazzini. Troppi congressi alle Canarie, a Parigi, troppe notti in ospedale, troppe altre donne con ruoli non ben definiti agli occhi della moglie, nella vita di Francois. Giulia, quando Alain andò a vivere da solo, si riaccasò, con un avvocato noto ma persona davvero insipida che ad entrambi stava discretamente sulle palle. Quando compì diciotto anni Francois regalò ad Alain una Golf cabrio. Io mi beccai un Rolex in acciaio, ma di automobili non se ne parlò fino ai ventun anni, quando ottenni, a fatica, una Uno 1.7 diesel, nonostante le varie grane che piantai per cercare di avere almeno qualcosa di un po’ più trendy.

Affettai le mele verdi a fettine sottili e le feci appassire in tegame con poco burro ed un po’ di olio. Un cucchiaio di zucchero e mezzo bicchierino di calvados. Le distesi un quattro piccole ciotole. Depositai un crottin de chevre in ogni ciotolina e feci rapprendere un po’ la salsa, unendovi i funghi canterelli che Alain aveva già ucciso sciacquandoli sotto l’acqua bollente, prima di distribuirla nei quattro contenitori.

- Queste poi le mettiamo due minuti nel micro prima di servirle. E’ l’antipastino tiepido. Qui ci beviamo sopra quel KRUG che hai messo in fresco.
- Ha un profumo spettacolo!

Il branzino entrava a malapena nella teglia da forno più grande che avevamo a disposizione e, quindi, gli amputammo un po’ la coda. Preparai un bel letto di patate a fette e aggiunsi pomodorini cherry ed olive nere. Uno spicchio di aglio rosa vestito, olio, salvia e rosmarino.

- Ti ricordi dove abbiamo imparato questa ricetta? Ok, non era branzino, ci facevano le orate in questo modo. Ti ricordi?
- No..., Sicilia?
- Ma vah. Marciana Marina! Con la Marika e Francesca. Ti ricordi? Le cene al Capo Nord! Che poi avevi detto che ci vuole, basta il pesce fresco, non è una gran difficoltà. Billi cucina meglio, e tutte le tue stronzate! E avevi chiesto al cuoco la ricetta. Il giorno dopo siamo andati a comprarci il pesce al molo...
- Ah, è vero. E bravo Billi, memore del successo, hai tirato fuori l’artiglieria culinaria, eh? Ma non ti illudere troppo che secondo me queste qui non la smollano.
- Conosci il detto: dona smorta, figa forta.
- Si va beh, senti io le invitate, tu hai cucinato, vediamo di non far pirlate, se va va, altrimenti, te saludi Carolina.

Il borgogna rosso non era un abbinamento del tutto ordosso per accompagnare il pesce, ma Alain partiva dal presupposto che a un Romanée-Conti 1991 non si poteva dire di no, la serata inoltre era piovosa e il vino rosso fa più intimità. Fummo costretti ad apparecchiare all’interno, di fronte alle grandi vetrate che davano sulla terrazza, che lasciammo purtroppo chiuse. Stappai il vino e lo lasciai ossigenare un po’.

Alain verso le diciannove uscì in macchina per andare a prendere le sorelle. Ci eravamo dati da fare, la cena, la tavola, le luci, un po’ di candele piazzate ad arte qua e là, Paul Simon in sottofondo. Un bel set. Cominciava ad imbrunire.
To be continued...

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